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Controlli a distanza col “Badge”? No senza accordo sindacale

L’eventuale rilevazione dei dati effettuata con lo scopo di controllare il lavoratore a distanza è illegittima ai sensi dell’art. 4 St. Lav.

La Cassazione sezione Lavoro, con sentenza n. 17531 del 14 luglio 2017, ha recentemente precisato che il badge utilizzato per l’entrata e l’uscita dal luogo di lavoro del dipendente non si può utilizzare come strumento di controllo senza preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o autorizzazione dell’ispettorato del lavoro.

Cass. sez. lav., 14 luglio 2017, n. 17531

Massima

Costituisce un controllo a distanza che necessita un preventivo accordo sindacale o l’autorizzazione da parte della DTL ai sensi dell’art. 4 St. Lav. il badge che, oltre a verificare l’entrata e l’uscita dal luogo di lavoro del prestatore, sia in grado di controllare gli spostamenti di quest’ultimo, accertare le tempistiche nello svolgimento delle mansioni assegnate e le pause effettuate.

La procedura formale prevista dal comma 2 dell’art. 4 St. Lav. costituisce il mezzo attraverso il quale il Legislatore bilancia il diritto dei lavoratori a non essere controllati a distanza e quello del datore volto a preservare l’organizzazione imprenditoriale e la sicurezza sul luogo di lavoro. Per questo motivo non è ammissibile presupporre un’autorizzazione tacita o per fatti concludenti basata sul presupposto che i lavoratori e le associazioni sindacali sono a conoscenza dell’utilizzo all’interno dell’impresa di strumenti idonei a controllare a distanza la prestazione lavorativa.

In senso conforme: Cass. sez. lav., 13 maggio 2016, n. 9904; Cass. sez. lav., 17 luglio 2007, n. 15892

Pagamento provvigione al mediatore

Mediazione immobiliare e provvigione. Seconda parte.

Pagamento della provvigione al mediatore.

Torniamo ad occuparci della compravendita immobiliare ed in particolare del pagamento della provvigione spettante al mediatore. Nella prima parte abbiamo visto che il diritto alla provvigione sorge con la stipulazione del contratto preliminare.

Oggi quasi tutte le agenzie immobiliari dispongono di moduli prestampati, con i quali sottoscrivere una proposta irrevocabile d’acquisto. In alcuni di questi moduli sono indicati tutti gli elementi identificativi della futura vendita, descrizione dell’unità immobiliare (compresi dati catastali), la data entro la quale deve avvenire la stipula del rogito, il prezzo ecc., oltre alla dicitura “Conclusione del contratto preliminare”. In questi casi la proposta stessa è un contratto preliminare perché idonea a far sorgere l’obbligo della conclusione del contratto definitivo per le parti, sanzionabile con l’esecuzione in forma specifica oppure con il risarcimento del danno.

Se firmo un modulo di proposta/preliminare, quindi, il diritto alla provvigione nasce nel momento in cui l’agenzia mi comunica l’accettazione della proposta, in quanto il preliminare è concluso. Naturalmente questa comunicazione dovrà rispettare le forme previste nel modulo; se è richiesta una raccomandata a.r. non basterà una semplice telefonata da parte dell’agenzia.

D: È possibile posticipare il pagamento della provvigione al momento della stipula dell’atto dal notaio?

R: Si, se l’agenzia immobiliare è d’accordo. Occorre però indicarlo espressamente nella proposta. Solitamente, infatti, le agenzie richiedono il pagamento nel momento esatto in cui matura il diritto alla provvigione e quindi alla conclusione del preliminare. Ci si può però accordare affinché il pagamento della provvigione avvenga in sede notarile contestualmente al rogito.

Esempio di clausola che identifica la proposta con un contratto preliminare: “La presente proposta si perfeziona in vincolo contrattuale (contratto preliminare) non appena il proponente avrà conoscenza dell’accettazione della proposta stessa da parte del venditore…”.

Un consiglio: se possibile, farsi inviare in anticipo dall’agenzia copia della proposta d’acquisto per leggerla con calma e segnare eventuali punti da chiarire.

In ogni caso, prima di firmare la proposta si deve leggere tutto con attenzione fino all’ultima riga.

Avv. Marco Domenico Luongo

Mediazione immobiliare e provvigione

Prima parte: un caso recente.

Quando si vuole acquistare o vendere un immobile ci si rivolge spesso alle agenzie di mediazione immobiliare.

Talvolta, per svariati motivi tra cui la “fretta” di concludere l’affare, eventuali incomprensioni, mancanza di chiarezza ecc., rimangono dubbi aperti relativamente alla provvigione, il cui diritto viene maturato dall’agenzia soltanto ad affare concluso. Se non risolti, questi dubbi possono finire nelle aule dei tribunali rischiando di mandare all’aria la compravendita.

 Cosa si intende per “affare concluso”?

Queste le definizioni fornite dalla giurisprudenza.

Contratto preliminare: Con la stipulazione di un contratto preliminare redatto in forma scritta l’affare è concluso. La stipulazione di un preliminare di compravendita di un immobile è infatti sufficiente a far sorgere il diritto del mediatore alla provvigione, sempre che si tratti di un contratto validamente concluso e rivestito dei prescritti requisiti e, quindi, della forma scritta richiesta ad substantiam ex art. 1350 e 1351 c.c. Il vincolo giuridico creato dal preliminare abilita ciascuna delle parti ad agire per l’esecuzione specifica del negozio o per il risarcimento del danno. (cfr. tra le tante, Cass., Sez. III, 5 marzo 2009, n. 5348; Cass., Sez. III, 19 ottobre 2007, n. 22000; Cass., Sez. III, 6 agosto 2004, n. 15161).

Preliminare di preliminare: scritto provvisorio da cui non nasce l’obbligo di conclusione di un contratto definitivo. Non integra la conclusione dell’affare (Trib. Napoli 22 marzo 2003, in D&G, 2004, 681).

Minuta (o Puntuazione): La Minuta è una dichiarazione di intenti, rappresentata da una serie di documenti che le parti sottoscrivono e si scambiano nel corso delle trattative (spesso lunghe e complesse), attraverso cui si manifesta l’intenzione di concludere il contratto, senza che però sorga un vero e proprio vincolo negoziale. Non costituisce un vincolo giuridico che consenta a ciascuna delle parti di agire per l’esecuzione del contratto e quindi non è idonea a far sorgere in capo al mediatore il diritto alla provvigione. (cfr. Cass., Sez. III, 14 luglio 2004, n. 13067; Trib. Savona 29 agosto 2005, in De Jure, 2006).

Il caso.

Il Tribunale di Torino, Sezione Prima, sentenza n. 1411 del 14 marzo 2016, ha accertato che tra due soggetti non era stato concluso un vero e proprio “contratto preliminare” di compravendita, bensì una mera “puntuazione” o al massimo un “preliminare di preliminare” dichiarando che non poteva ritenersi integrata la “conclusione dell’affare”, cui l’art. 1755 c.c. ricollega la nascita del diritto del mediatore alla provvigione.

L’agenzia immobiliare Alfa riceveva da Tizio un’offerta irrevocabile per l’acquisto di un immobile di proprietà di Caio. Le parti convenivano che il prezzo offerto era da pagarsi, con un primo acconto, a titolo di caparra confirmatoria e, per il residuo, alla data del rogito e in concomitanza della consegna dell’immobile. Contestualmente alla sottoscrizione dell’offerta Tizio consegnava un assegno bancario con parte dell’importo stabilito a Caio e si impegnava a corrispondere all’agenzia Alfa la somma di euro 9.500 oltre IVA per l’opera di mediazione svolta nella trattativa immobiliare. Tale offerta non veniva accettata da Caio e, pertanto, Tizio formulava una seconda proposta apportando un aumento del prezzo offerto, la conferma del periodo stabilito tra le parti per la sottoscrizione dell’atto e la conferma dell’impegno al pagamento di parte dell’importo a titolo di caparra confirmatoria. L’agenzia Alfa comunicava a Tizio la sostanziale accettazione della seconda offerta da parte di Caio e chiedeva comunque, a tal proposito, di convenire il giorno per la firma del contratto preliminare. A seguito di ripetuti solleciti telefonici, di comunicazioni e raccomandate inviate dall’agenzia Alfa con la richiesta di pagamento delle proprie spettanze a cui però non seguiva alcuna risposta da parte di Tizio, l’agenzia Alfa instaurava la rituale e obbligatoria procedura di mediazione con Tizio, che si concludeva senza alcun accordo. L’agenzia Alfa citava quindi in giudizio Tizio avanti il Tribunale di Torino chiedendone la condanna al pagamento della somma di euro 9.500 oltre IVA per l’opera di mediazione svolta nella trattativa immobiliare in oggetto. Tizio si costituiva respingendo integralmente la domanda proposta dall’agenzia Alfa.

La soluzione del Tribunale.

Il Giudice Istruttore rilevava che tra Caio e Tizio non era stato concluso un vero e proprio “contratto preliminare” di compravendita, bensì una mera “puntuazione” sulla base delle seguenti considerazioni:

  1. mancanza del requisito della forma scritta ad substantiam ex artt. 1350 e 1351 c.c.;
  2. mancanza di accettazione della proposta di Tizio, per iscritto e con sottoscrizione da parte di Caio, entro il termine di irrevocabilità della stessa, così come previsto espressamente nell’offerta;
  3. comune volontà delle parti di non considerare concluso alcun “contratto preliminare” emersa inequivocabilmente dalla terminologia usata nelle comunicazioni via E-mail scambiate tra le parti e prodotte in giudizio.

La natura giuridica di “puntuazione” dell’offerta di Tizio è stata ritenuta confermata dal fatto che le parti non avevano raggiunto l’intesa su tutti gli elementi dell’accordo, ma soltanto su quelli essenziali. Non essendo stato possibile attribuire la natura giuridica di “contratto preliminare” all’accordo tra le parti, ma soltanto la mera natura di “puntuazione”, quindi, non può ritenersi integrata quella “conclusione dell’affare”, ai sensi dell’art. 1755 c.c., che ricollega la nascita del diritto del mediatore alla provvigione.

Il Tribunale ha rigettato la domanda dell’agenzia immobiliare Alfa condannandola a rimborsare a Tizio le spese processuali. (Tribunale di Torino, Sez. I, 14 marzo 2016, n. 1411)

Avvocati: preventivo obbligatorio

Dal 29 agosto 2017 il professionista deve rendere noto il preventivo obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, al cliente.

Il preventivo deve comprendere tutte le informazioni utili circa gli oneri ipotizzabili dal momento del conferimento fino alla conclusione dell’incarico, indicando anche i dati della polizza assicurativa per i danni eventualmente provocati nell’esercizio dell’attività professionale. In ogni caso la misura del compenso è previamente resa nota al cliente obbligatoriamente, in forma scritta o digitale, con un preventivo di massima, deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di spese, oneri e contributi.

Questa la sostanza della norma che introduce l’obbligo del preventivo per gli avvocati, contenuta nella Legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), pubblicata in Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.189 del 14-08-2017 ed entrata in vigore a fine agosto.

LEGGE CIRINNA’: SI ALLA STEPCHILD ADOPTION PER FAMIGLIE OMOGENITORIALI

Le Unioni Civili costituiscono a tutti gli effetti una famiglia.

La legge n. 76 del 2016 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”, Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 21 maggio 2016, n. 118, ha eletto le coppie formate da persone dello stesso sesso, ove sussistenti vincoli affettivi, al rango di “famiglia”. La stabile relazione affettiva tra due persone dello stesso sesso, che si riconoscano come parti di un medesimo progetto di vita, con le aspirazioni, i desideri e i sogni comuni per il futuro, la condivisione insieme dei frammenti di vita quotidiana, costituisce a tutti gli effetti una “famiglia”, luogo in cui è possibile la crescita di un minore, senza che il mero fattore “omoaffettività” possa costituire ostacolo formale.

Il Tribunale dei Minorenni di Bologna, con sentenza 31 agosto 2017 (Presidente estensore Giuseppe Spadaro), ha stabilito che nell’ipotesi di minore concepito e cresciuto nell’ambito di una coppia dello stesso sesso, sussiste il diritto ad essere adottato dalla madre non biologica, secondo le disposizioni sulla adozione in casi particolari ex art. 44 lett. D della Legge 4 maggio 1983, n. 184, sussistendo, in ragione del rapporto genitoriale di fatto instauratosi fra il genitore sociale ed il minore, l’interesse concreto del minore al suo riconoscimento.

Il Giudice Bolognese precisa che questa interpretazione è stata di recente avallata dall’articolo 1 della legge 76 del 2016. Infatti, la «clausola di salvaguardia» che chiude il comma 20 di detto articolo apre alla possibilità di un’applicazione alle unioni civili delle disposizioni in materia di adozioni, ma solo, per l’appunto, nei limiti del diritto vigente. La sua funzione, dunque, è quella di chiarire all’interprete che la mancata previsione legislativa dell’accesso all’adozione coparentale non deve essere letta come un segnale di arresto o di contrarietà rispetto all’orientamento consolidatosi negli ultimi anni in giurisprudenza in favore dell’adozione coparentale ai sensi della lettera d) dell’art. 44 l. 184 del 1983.

fonte: Il Caso

Il Trust per assicurare risorse alla figlia del disponente è meritevole di tutela anche se il trustee è un soggetto legato al disponente da rapporto familiare

Il Tribunale di Cuneo, con sentenza n.788/2017 pubblicata il 26/07/2017, ha stabilito che in un Trust X con finalità di tutela familiare, ove non risulti provato né dedotto che i disponenti abbiano effettivamente mantenuto la disponibilità di fatto dei beni ed il potere di amministrazione o di disposizione al di là di quanto previsto nell’atto costitutivo, la circostanza che sia stato nominato trustee un soggetto legato al disponente da rapporto familiare e di convivenza non può costituire di per sé solo elemento determinante al fine prova di una simulazione, soprattutto ove si consideri che la scelta del trustee nell’ambito della famiglia del disponente appare compatibile con lo scopo di un trust dichiaratamente istituito per soddisfare le esigenze della figlia dei disponenti.

Aggiunge il magistrato che a nulla vale una precedente sentenza con la quale il medesimo Tribunale di Cuneo dichiarava inefficace lo stesso Trust X nei confronti di una Banca a seguito di pronuncia ex art. 2901 c.c. (azione revocatoria), in quanto detta pronuncia ex art. 2901 c.c. ha efficacia nei soli confronti di chi ha invocato la relativa tutela e che le valutazioni del Tribunale, in quella occasione, non potevano che essere legate al caso concreto dedotto in giudizio e alla specifica posizione del creditore attore. Tali valutazioni, pertanto, non sono utilizzabili in altra sede.

Spiega il giudice Cuneese che l’ammissibilità del trust interno è stata oggetto di rilevante dibattito per via del fatto che l’unico elemento di estraneità finirebbe con l’essere la legge applicabile, trattandosi di soggetti residenti in Italia e di beni esistenti sul territorio italiano. L’evoluzione dottrinale e giurisprudenziale più recente è tuttavia nel senso della piena riconoscibilità nell’ordinamento italiano del c.d. trust interno. La giurisprudenza di merito ha stabilito la validità, in forza della Convenzione de l’Aja, del trust che presenta come unico elemento di estraneità rispetto al nostro ordinamento l’applicazione della legge straniera, sancendo l’assoluta libertà del disponente nella scelta della legge regolatrice. Diversa questione è quella della eventuale nullità dell’atto istitutivo del trust per frode alla legge, ossia quando il trust appare costituire il mezzo per eludere l’applicazione di una norma imperativa, che per il trust ordinario di regola è l’art. 2740 c.c. (responsabilità patrimoniale). E’ quindi necessario esaminare le circostanze del caso di specie, da cui desumere la causa concreta dell’operazione (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 10105 del 09/05/2014, Rv. 631179) onde verificare se il trust istituito abbia una causa concreta legittima oppure costituisca solo un mezzo per eludere norme imperative quali l’art. 2740 c.c.. Nel caso di specie il Trust X è stato costituito per assicurare risorse future alla figlia del disponente. In astratto si tratta quindi di un interesse meritevole di tutela, considerando il fatto che il nostro ordinamento ormai riconosce e disciplina espressamente una serie di strumenti attraverso i quali si realizza l’effetto di segregazione patrimoniale con destinazione del patrimonio cosi separato al soddisfacimento di interessi di soggetti deboli o di familiari. Il trust oggetto di causa è quindi un ordinario trust con finalità di tutela familiare.

Tribunale Cuneo, 26 luglio 2017

Sfruttare i social network, ma rispettando la privacy dei lavoratori

Con la newsletter n. 430 del 24 luglio 2017, il Garante Privacy rende nota la conclusione del primo ciclo di incontri con le Pubbliche Amministrazioni e le imprese in vista dell’applicazione del Regolamento europeo sulla protezione dei dati, prevista per il 25 maggio 2018. Il Garante dà anche delle indicazioni alle imprese relative alla possibilità di sfruttare l’uso dei social network senza violare la privacy dei lavoratori.

Sfruttare le potenzialità dei social senza violare la privacy dei lavoratori.

I Garanti europei della privacy, riuniti del Gruppo “Articolo 29” (WP29), hanno fornito alle imprese delle indicazioni volte a sfruttare le potenzialità delle reti sociali e delle nuove tecnologie senza, però, violare la privacy dei lavoratori. Controllare la fuga di dati o la compromissione dei sistemi senza “spiare” le comunicazioni dei dipendenti, consultare i social network limitandosi ai soli profili professionali, offrire spazi privati su computer aziendali e servizi cloud, chiedere ulteriori basi legali circa il consenso per trattare i dati personali dei lavoratori. Sono queste alcune delle indicazioni fornite dai Garanti e che tengono conto delle novità introdotte dal Regolamento UE 2016/679 che troverà applicazione a partire dal 25 maggio 2018.

Primo ciclo di incontri sul Regolamento UE 2016/679.

In riferimento al nuovo Regolamento UE 2016/679 e in vista della sua applicazione dal mese di maggio 2018, l’Autorità comunica la conclusione del primo ciclo di incontri tenuti dall’Ufficio del Garante con soggetti pubblici e privati. Infatti, sono stati fatti ben 3 incontri con la P.A., dove hanno preso parte dirigenti e funzionari appartenenti alle Amministrazioni centrali, agli Enti pubblici, Regioni, Province autonome e Autorità indipendenti. Lo stesso numero di incontri è stato fatto con il mondo imprenditoriale.

Telefonate indesiderate.

Il Garante ha preso un provvedimento nei confronti di due società operanti nel settore sanitario (in particolare quello odontoiatrico), vietando il trattamento a fini di telemarketing di circa un milione di utenze telefoniche fisse e mobili, utilizzate senza il rispetto della disciplina in materia di privacy.

Newsletter dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali del 24 luglio 2017, n. 430.

Eccessiva navigazione sul web e licenziamento

Eccessiva navigazione sul web e licenziamento: chiarimenti della Cassazione

Cassazione civile, sez. lav., 15/06/2017,  n. 1486

L’utilizzo sistematico e ripetuto (non sporadico ed occasionale) degli strumenti aziendali per accedere alla rete internet per ragioni estranee alla prestazione lavorativa integra una condotta contraria agli obblighi di correttezza e buona fede e di conseguenza giustifica il licenziamento.

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla rilevanza della eccessiva navigazione in internet durante l’orario di lavoro, in caso di licenziamento. E’ legittimo il licenziamento di un lavoratore che durante l’orario di lavoro passi lungo tempo a navigare nel web?

Nel caso di specie il datore di lavoro, aveva inviato il provvedimento disciplinare nei termini ma non ne aveva rispettato il termine di 15 giorni per la comunicazione al dipendente; tale vizio tuttavia non è stato ritenuto imputabile al datore di lavoro. Allo stesso modo non è stata considerata rilevante l’ignoranza del regolamento aziendale quando le violazioni dello stesso possono essere conosciute dal lavoratore usando il semplice buon senso.

Parimenti irrilevante per la Cassazione è risultata la doglianza relativa alla presenza di dati personali protetti da privacy nella lettera di contestazione, in quanto per i giudici della Suprema Corte il datore di lavoro si era limitato a contestare data, ora e durata della connessione internet del lavoratore.

La Cassazione, respingendo definitivamente il ricorso del lavoratore licenziato, ha precisato chel’articolo 4 St. Lav. non è applicabile nei casi di attività volta ad individuare la realizzazione di comportamenti illeciti dei dipendenti idonei a recare danno all’azienda.

Fonte: Diritto & Giustizia 2017, 16 giugno

Asl di Bari condannata per lite temeraria

Il Tribunale di Bari, sezione lavoro, con sentenza del 6 giugno 2017, ha condannato l’ASL per lite temeraria.

Un dipendente della azienda sanitaria di Bari in data 17.10.2016 aveva notificato un decreto ingiuntivo per il mancato pagamento di emolumenti, che veniva concesso dal giudice. L’ASL provvedeva al pagamento delle somme intimate con la busta paga relativa al mese di novembre 2016 (con valuta il giorno 25.11.2016) ed il giorno successivo (26.11.2016) depositava ricorso in opposizione, notificando il medesimo al dipendente in data 10.2.2017.

Nel caso di specie il giudice, dopo aver dichiarato la cessazione della materia del contendere, ha evidenziato la palese infondatezza dei motivi dell’opposizione poiché non risultava che fosse stata effettuata al solo scopo di evitare l’esecuzione forzata e, quindi, con riserva di ripetizione in caso di accoglimento della stessa. L’inevitabile e conseguente contrasto sulle spese di lite è stato quindi risolto dal magistrato secondo il criterio della cosiddetta soccombenza virtuale.

L’ASL, precisa il magistrato, ha “prima versato al dipendente la somma da questi intimata e poi ha proposto opposizione avverso il titolo monitorio chiedendone la revoca sul presupposto – evidentemente infondato – della insussistenza del diritto fatto valere dall’intimante.”

In buona sostanza l’azienda sanitaria ha effettuato il pagamento della somma intimata al dipendente e subito dopo ha proposto opposizione avverso il titolo monitorio. Dopo oltre  due mesi ha poi notificato il medesimo ricorso al dipendente, motivando tale “tempistica” con le disfunzioni organizzative che derivano dalle notevoli dimensioni dell’azienda. Il giudice ha precisato che le disfunzioni organizzative aziendali, pur se oggettivamente indiscutibili, non possono tuttavia giustificare la contraddittoria condotta dell’opponente, la quale ha avuto tutto il tempo di assumere le determinazioni utili per evitare di dar corso ad un inutile giudizio di opposizione.

Alla luce di tali fatti il giudice del Tribunale di Bari ha ritenuto di evidenziare il carattere temerario della lite, “perché già al momento della sua instaurazione l’opponente era cosciente dell’infondatezza dell’opposizione e delle tesi sostenute, o comunque nella sua condotta è mancata la normale diligenza per l’acquisizione di detta consapevolezza (in relazione ai presupposti per la configurabilità della lite temeraria fonte di responsabilità processuale aggravata v. da ultimo Cass. 3464/17)”

(Fonte: www.ilcaso.it)

 

Come ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi

Negli ultimi anni la crisi che investe il nostro bel paese ha causato un aumento della morosità in particolare nei condomini, lasciando agli amministratori condominiali l’arduo compito di recuperare il dovuto, con tutte le difficoltà note agli operatori del settore.

Con la riforma del condominio attuata dalla Legge 11 dicembre 2012, n. 220, avente l’intento di tutelare maggiormente i condomini in regola con i pagamenti, sui quali gravano le spese derivanti dall’omesso versamento delle quote di competenza da parte dei condomini morosi, si è cercato di agevolare la disciplina del recupero coattivo dei crediti agendo sull’obbligo in capo all’amministratore di attivarsi tempestivamente. L’art. 1129 c.c. in particolare, al comma 9, ha sancito in capo all’amministratore il dovere di “agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso”, elencando al comma 12, fra le possibili condotte integranti una irregolarità nell’esecuzione del mandato (che giustificherebbe la revoca da parte dell’assemblea dei condomini) proprio l’inottemperanza a detto dovere.

Il legislatore, allo scopo di garantire la tempestività dei pagamenti, ha introdotto una speciale disciplina del procedimento monitorio in materia condominiale con particolare riguardo alla immediata esecutività del decreto ingiuntivo.

In particolare l’art. 63 disp. att. c.c stabilisce che l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, senza bisogno di autorizzazione da parte dell’assemblea, per la riscossione delle quote di competenza in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea. Si tratta di una procedura semplificata nella quale costituisce prova sufficiente, ai fini dell’accoglimento del ricorso e concessione della provvisoria esecuzione, il rendiconto preventivo o consuntivo unitamente al deposito del relativo piano di riparto che siano stati ritualmente approvati dall’assemblea.

Nonostante la chiarezza di questa norma, nella prassi, la clausola di provvisoria esecuzione viene spesso erroneamente concessa in presenza della sola delibera di approvazione del rendiconto e non anche dello stato di riparto, aprendo il fianco a pretestuose opposizioni da parte dei condomini morosi.

La Suprema Corte, con sentenza n. 24957 del 6.12.2016, ha infatti confermato che “la delibera di approvazione dello stato di ripartizione delle spese, sulla cui base l’amministratore può ottenere ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva, giusta l’art. 63 disp. att. c.c., deve necessariamente precedere la proposizione del ricorso ex art. 633 c.p.c.” (Cass.Civ, sez. II, sentenza n. 24957 del 6.12.2016).

Anche la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere che “in virtù dell’art. 63 disposizioni att. c.c. l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, nei confronti del condomino moroso alla sola condizione che l’assemblea abbia approvato i bilanci e il relativo stato di ripartizione, ossia la distinzione delle spese in “capitoli” e la loro suddivisione fra i singoli condomini. Il verbale assembleare che approva lo stato di ripartizione dei contributi pur non avendo di per sé valore di titolo esecutivo ha una qualità probatoria privilegiata che vincola il giudice dell’ingiunzione alla concessione della clausola di immediata esecutività, se richiesta, benché la dichiarazione della provvisoria esecutività avvenga in base ad un titolo proveniente dal creditore”. (Trib. Monza, sez. II, n. 1716 del 9.06.2016).

Si noti che ai fini della concessione della clausola di provvisoria esecuzione non è sufficiente che la tabella di ripartizione delle spese di cui al bilancio preventivo o consuntivo sia meramente allegata all’avviso di convocazione dell’adunanza o comunque al verbale assembleare, nel qual caso sarebbe “inidonea a conferire alla tabella il rango di valido titolo di credito” (cfr. Trib. Aosta del 28.05.2014).

L’amministratore, quindi, per evitare opposizioni pretestuose a decreto ingiuntivo da parte dei condomini morosi, azionate con il mero intento di sfruttare la lentezza del processo giudiziario rallentando il recupero coattivo del credito (in barba ai condomini in regola con i pagamenti), al fine di ottenere un provvedimento immediato per il recupero del dovuto dovrà indicare, tra i punti all’ordine del giorno, quello relativo alla approvazione del piano di riparto, da tenere separato e autonomo rispetto a quello del rendiconto (preventivo o consuntivo) cui lo stesso si riferisce, depositando nel procedimento monitorio la tabella di ripartizione unitamente al relativo verbale assembleare di discussione e approvazione degli stessi.