Valida la notifica al Trust nella persona del trustee

L’atto di citazione per ottenere ex art. 2932 cod. civ. sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso è utilmente notificato al trust in persona del trustee, in quanto, sebbene il trust sia privo di personalità giuridica, simile notifica non può ingenerare alcun ragionevole dubbio su chi sia il soggetto realmente convenuto, cioè il trustee.

Tribunale Alessandria – 4 novembre 2023

Fonte: il-trust-in-italia.it

Dimissioni per giusta causa in conseguenza di trasferimento ad oltre 50 km dalla propria residenza: il dipendente ha diritto alla NASpI senza dover provare l’illegittimità del provvedimento datoriale

Il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 429 del 27 aprile 2023, ha censurato la prassi adottata dall’INPS in caso di dimissioni del dipendente conseguenti a trasferimento in sede distante più di 50 km dalla sua residenza che differenziava, in tali situazioni, il caso di dimissioni per giusta causa dalla risoluzione consensuale del rapporto.

L’INPS, infatti, aveva sostenuto che in caso di risoluzione consensuale il lavoratore poteva accedere “liberamente” alla NASpI, mentre nell’ipotesi di dimissioni per giusta causa il dipendente poteva ricevere l’indennità soltanto se dimostrava l’illegittimità del trasferimento indipendentemente dalla distanza tra la propria residenza e la nuova sede di lavoro.

Il Giudice torinese, invece, poiché la normativa di riferimento indica come unici requisiti per beneficiare dell’ammortizzatore sociale la perdita involontaria dell’occupazione, il fatto di aver almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti ed aver svolto 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione (art. 3 D.Lgs. n. 22/2015), ha ritenuto che tale distinzione condurrebbe a riservare un diverso trattamento ad ipotesi analoghe in quanto nella fattispecie in esame, in cui il lavoratore viene trasferito in altra sede distante più di 50 km dalla propria residenza, «la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro è sostanzialmente equiparabile alle dimissioni, non essendoci alcuna differenza concettuale tra la dichiarazione di volontà con cui il lavoratore pone unilateralmente termine al rapporto di lavoro e la dichiarazione di volontà che confluisce, unitamente ad analoga dichiarazione del datore di lavoro, nell’accordo oggetto di risoluzione consensuale.».

Per il giudice del capoluogo sabaudo, in sostanza, le dimissioni rassegnate in conseguenza al provvedimento datoriale di trasferimento in oggetto «devono ritenersi involontarie perché determinate da una condotta datoriale che ha reso obbligata la scelta del dipendente, di qui la ricorrenza nella fattispecie in esame del requisito della “perdita involontaria” dell’occupazione».

Fonte: lpo.it

Nullità della delibera nella SpA e obblighi degli amministratori

Gli amministratori devono, ai sensi del comma 3 dell’art. 2434-bis c.c., tener conto delle ragioni dell’intervenuta dichiarazione giudiziale di invalidità dell’impugnata delibera di approvazione del bilancio solo nel bilancio dell’esercizio nel corso del quale viene dichiarata l’invalidità stessa, in quanto le impugnazioni previste dagli artt. 2377 e 2379 c.c. nei confronti delle delibere di approvazione del bilancio non richiedono, dopo l’impugnazione giudiziale del primo bilancio, anche quella dei bilanci medio tempore chiusi nel corso del giudizio.

Cass. Civ. – Sez. I – 24 maggio 2023, n. 14338

Fonte: il societario.it

Amministratori di s.p.a.: La revoca del c.d.a. con contestuale nomina di un nuovo amministratore ha efficacia immediata

La delibera di revoca dei membri del c.d.a., con contestuale nomina dell’amministratore unico, è da considerarsi immediatamente efficace, benché sottoposta all’approvazione del Tribunale delle imprese, non venendo in questione il diverso istituto della prorogatio del precedente organo amministrativo e producendo il contratto concluso tra la società e gli amministratori i propri effetti sin dal momento della sua conclusione, anche in relazione ai profili legati alla rappresentanza.

L’iscrizione nel registro delle imprese della delibera di revoca del c.d.a. assolve ad una funzione dichiarativa e non costitutiva, rilevando ai soli fini dell’individuazione del momento in cui l’evento diviene opponibile ai terzi in buona fede, ai sensi dell’art. 2383 c.c.

Tribunale de L’Aquila – Sez. Specializzata – 18 aprile 2023

(In senso conforme, Cass. n. 30542/2018)

Fonte: ilsocietario.it

Licenziamento disciplinare: il lavoratore deve poter visionare visionare i filmati che ne hanno giustificato il licenziamento

Il datore di lavoro deve esibire i filmati che hanno giustificato il licenziamento disciplinare di un dipendende in caso di sua semplice richiesta, anche non accompagnata dall’attestazione che l’accesso sia strettamente necessario ai fini della difesa.

La Cassazione Civile, sezione lavoro, con sentenza Cass. 17 maggio 2023 n. 13492 ha ritenuto illegittimo il diniego opposto dal datore in ordine alla richiesta del lavoratore licenziato di visionare i filmati in sede di audizione nel procedimento disciplinare.

Precisano i giudici della Suprema Corte che sebbene l’art. 7 Stat. Lav. non preveda un obbligo in capo al datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore la documentazione su cui si fonda la contestazione disciplinare, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, il medesimo è comunque tenuto ad offrire in consultazione i documenti connessi con il provvedimento disciplinare al dipendente incolpato che abbia richiesto di esaminarli.

Fonte: ilgiuslavorista.it

Licenziato per giusta causa il lavoratore che dileggia sull’orientamento sessuale del collega.

Un dipendente di un’azienda di trasporti autoferrotranvieri, concessionaria del servizio pubblico, rivolgeva frasi offensive riguardo all’orientamento sessuale della collega durante il servizio ed in luogo pubblico.

La lavoratrice, offesa per le frasi “sconvenienti” pronunciate ad alta voce nei suoi riguardi in presenza dell’utenza e in luogo pubblico, presentava una segnalazione all’azienda per il comportamento irrispettoso del collega, rivendicando la propria sfera privata e l’inaccettabilità e lesività della condotta perpetrata in suo danno, quale violazione del Codice Etico aziendale nonché delle regole di civile convivenza.

L’azienda attivava la procedura interna con la conseguente convocazione della Commissione di Inchiesta e, preso atto della sostanziale assenza di giustificazione e dell’atteggiamento offensivo e minaccioso del dipendente nei confronti del Presidente della Commissione, risolveva immediatamente il rapporto di lavoro per giusta causa in conseguenza della gravità degli addebiti.

Il lavoratore impugnava il licenziamento e il Tribunale confermava la legittimità del licenziamento mentre la Corte di appello, ritenendo sproporzionata la sanzione espulsiva, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ai sensi e per gli effetti dell’art. 18, comma 5, l. n. 300/1970 e s.m.i. dichiarava risolto il rapporto di lavoro e condannava parte datoriale al pagamento di un importo pari a venti mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre accessori.

Per i Giudici di Appello il licenziamento era sproporzionato trattandosi di una condotta “inurbana” (in quanto concernente apprezzamenti sulla sfera sessuale di una collega), da considerarsi meno grave del “contegno inurbano o scorretto verso il pubblico”, e quindi andava punito con sanzione conservativa dal Regolamento allegato A) Regio Decreto n. 148/1931 e non espulsiva.

Il lavoratore licenziato proponeva ricorso in Cassazione e l’azienda datrice di lavoro proponeva ricorso incidentale e la Suprema Corte cassava la decisione impugnata, disponendo il riesame della complessiva fattispecie al fine della verifica della sussistenza della giusta causa di licenziamento, alla luce della corretta scala valoriale di riferimento indicata.

I giudici di legittimità, da un lato, cristallizzavano l’adeguamento degli standard valoriali dell’ordinamento, a cui deve essere attualizzata la nozione della giusta causa di licenziamento, con i principi di non-discriminazione, parità del trattamento, dignità della persona e dei diritti fondamentali alla riservatezza delle abitudini sessuali, dall’altro, stabilivano che il rispetto che merita qualsiasi orientamento sessuale è un “innegabile portato della evoluzione della società” negli ultimi decenni e la scelta che attiene alla sfera della sessualità intima e assolutamente riservata della persona va tutelata contro qualsiasi intrusione indebita con strumenti di reazione adeguati.

La Cassazione non ritiene condivisibile la lettura tollerante e riduttiva della Corte d’Appello qualificando come mero “comportamento inurbano” la condotta del lavoratore; tale condotta è contraria non solo alle regole di buona educazione e alle forme del vivere civile, ma a valori più pregnanti che sono espressione di principi generali dell’ordinamento e dei diritti di rango costituzionale, come la tutela dei diritti inviolabili dell’uomo (articolo 2) senza distinzione di sesso, la tutela dello sviluppo della persona umana (articolo 3), il lavoro come forme di esplicazione della personalità dell’individuo (articolo 4) da tutelare “in tutte le sue forme e applicazioni” (articolo 35).

In tal senso, pertanto, il dileggio irridente sull’orientamento sessuale in luogo pubblico ed in presenza di terzi soggetti non si può ridurre a semplice questione di buona educazione ma concretizza, invece, una condotta degradante e offensiva realizzata per ragioni connesse al sesso; tale condotta non consente la prosecuzione del rapporto lavorativo poiché incide sul sistema di impostazione valoriale dei diritti di rango costituzionale, oltre che ledere la generale esigenza di riservatezza di ogni individuo relativa al proprio orientamento sessuale, quale dato sensibile tutelato a livello nazionale e comunitario (d.lgs. n. 196/2003 e GDPR – Reg. UE n. 2016/679).

Cassazione Civile, sezione lavoro, Ordinanza 9 marzo 2023, n. 7029.

Fonte: ilgiuslavorista.it

Il condomino in regola con i pagamenti può ottenere dal giudice il beneficio di preventiva escussione del condomino moroso

Il condomino in regola con i pagamenti, al quale sia intimato precetto da un creditore sulla base di un titolo esecutivo giudiziale formatosi nei confronti del condominio, può proporre opposizione a norma dell’art. 615 c.p.c. per far valere il beneficio di preventiva escussione dei condomini morosi che condiziona l’obbligo sussidiario di garanzia di cui all’art. 63, comma 2, disp. att. c.c., ciò attenendo a una condizione dell’azione esecutiva nei confronti del condomino non moroso e, quindi, al diritto del creditore di agire esecutivamente ai danni di quest’ultimo.

Cassazione civile, Sez. II, sent. 17 febbraio 2023, n. 5043, Pres. Manna, Est. Scarpa

Fonte: eclegal.it

Ineleggibilità del sindaco di società di capitali

Se un sindaco di società di capitali è legato a quest’ultima (o alle società controllate, alle società controllanti o quelle sottoposte a comune controllo) da un rapporto di natura patrimoniale di lavoro o di consulenza anche di soci e collaboratori del medesimo studio professionale, che ne possa compromettere l’indipendenza, è ineleggibile ex art. 2399 lett. c) c.c.

La ragione della causa di ineleggibilità risiede nell’esigenza di garantire l’indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, con valutazione rimessa al prudente apprezzamento del giudice in base all’esame della concreta fattispecie.

Cassazione Civile, Sezione I, Sentenza n. 29406 del 10 ottobre 2022

Fonte: ilsocietario.it

Business judgement rule e responsabilità degli amministratori di società di capitali

Le scelte di gestione degli amministratori di società di capitali sono insindacabili a condizione che siano ragionevoli e tale ragionevolezza deve essere applicata nel processo decisionale in base alla diligenza del mandatario, tenendo conto della eventuale mancata adozione di cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste per la tipologia di scelta effettuata nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.
Sulla base di tale prospettiva l’acquisizione di rami aziendali a prezzi vantaggiosi e in presenza di un piano di rilancio non è di per sé irragionevole, mentre l’acquisto di un ramo d’azienda gravemente indebitato e dissestato, ove non accompagnato dalla contestuale adozione di adeguate risposte organizzative idonee a consentirne il rilancio costituisce atto di mala gestio.

Cassazione Civile, Sezione prima, ordinanza n. 2172 del 24 gennaio 2023

Fonte: ilsocietario.it

Appalti privati: l’appaltatore è responsabile fino a prova contraria dei vizi dell’opera

La Suprema Corte ha confermato il principio secondo cui l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, «è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente e, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per le insistenze del committente ed a rischio di quest’ultimo; l’appaltatore, in mancanza di tale prova è, pertanto, tenuto a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dalla sua obbligazione di risultato all’intera garanzia per le imperfezioni o i vizi dell’opera, senza poter invocare il concorso di colpa del progettista o del committente, né l’efficacia esimente di eventuali errori nelle istruzioni impartite dal direttore dei lavori» (Cass. n. 23594/2017, n. 8016/2012).

Fonte: ridare.it