diritto societario

Business judgement rule e responsabilità degli amministratori di società di capitali

Le scelte di gestione degli amministratori di società di capitali sono insindacabili a condizione che siano ragionevoli e tale ragionevolezza deve essere applicata nel processo decisionale in base alla diligenza del mandatario, tenendo conto della eventuale mancata adozione di cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste per la tipologia di scelta effettuata nonché della diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere.
Sulla base di tale prospettiva l’acquisizione di rami aziendali a prezzi vantaggiosi e in presenza di un piano di rilancio non è di per sé irragionevole, mentre l’acquisto di un ramo d’azienda gravemente indebitato e dissestato, ove non accompagnato dalla contestuale adozione di adeguate risposte organizzative idonee a consentirne il rilancio costituisce atto di mala gestio.

Cassazione Civile, Sezione prima, ordinanza n. 2172 del 24 gennaio 2023

Fonte: ilsocietario.it

Diritto di controllo del socio: presupposti e limiti

Il diritto di controllo e ispezione del socio, di cui all’art. 2476, comma 2, c.c., quale diritto potestativo, strumentale a qualunque prerogativa del socio stesso e non solo all’esercizio dell’azione di responsabilità, non può sopravvivere all’estinzione dell’ente, trattandosi di un diritto amministrativo che appartiene al socio e che può esser fatto valere solo nei confronti della società partecipata. (Tribunale Milano, 22/04/2022).

In ipotesi in cui la società a responsabilità limitata sia una holding non può affermarsi, in via generale ed astratta, la sussistenza del potere del socio di esaminare indifferentemente e direttamente ogni documento della partecipata, ma non può per converso negarsi in radice la possibilità di avere specifiche informazioni sulle partecipate, se si negasse tale facoltà si avrebbe come risultato lo svuotamento del diritto ex art 2476 comma 2 c.c. ogni volta in cui la società abbia come attività soltanto quella “statica” di gestione di partecipazioni.

Il contrasto tra il diritto di accesso del socio di s.r.l. e le esigenze di riservatezza della società debba essere risolto alla luce del principio di buona fede, la cui applicazione allo specifico rapporto sociale “comporta che il diritto alla consultazione della documentazione sociale e alla estrazione di copia possa trovare specifica limitazione attraverso l’accorgimento del mascheramento preventivo dei “dati sensibili” presenti nella documentazione, quali, i dati relativi ai nominativi di clienti e fornitori- laddove alle esigenze di controllo “individuale” della gestione sociale -cui è preordinato il diritto del socio ex art. 2476, comma 2, c.c. – si contrappongano non pretestuose esigenze di riservatezza fatte valere dalla società. (Tribunale Milano, 29/04/2022).

Fonte: ilsocietario.it

Se la s.r.l. si estingue il socio perde il diritto di controllo

In tema di controllo del socio nella s.r.l., il diritto di controllo ed ispezione del socio di cui all’art. 2476, comma 2, c.c., quale diritto potestativo, strumentale a qualunque prerogativa del socio stesso e non solo all’esercizio dell’azione di responsabilità, non può sopravvivere all’estinzione dell’ente.

Il diritto di controllo del socio, infatti, ha natura amministrativa e come tale può esser fatto valere dal socio che ne è titolare solo nei confronti della società partecipata.

L’estinzione dell’ente e del contratto fa conseguire il venir meno in capo all’ex socio di tale diritto e conseguentemente del correlativo obbligo in capo ad un ente non più esistente.

Va comunque evidenziato che ai sensi dell’art. 2496 c.c., a conclusione della fase di liquidazione della società e della correlata estinzione, gli ex soci e chiunque vi abbia interesse può esaminare i libri sociali, che vengono depositati e conservati presso l’ufficio del registro delle imprese per dieci anni.

Tribunale di Milano – Sez. Specializzata – Ordinanza del 22 aprile 2022.

Fonte: ilsocietario.it

Gli amministratori privi di deleghe delle S.p.A. hanno l’obbligo di agire informati

L’obbligo imposto dall’art. 2381 c.c., ultimo comma, agli amministratori delle società per azioni di “agire in modo informato”, pur quando non siano titolari di deleghe, si sostanzia, da un lato, in un obbligo dell’amministratore di agire, ovvero ad attivarsi, esercitando tutti i poteri loro conferiti dalla relativa carica al fine di prevenire, eliminare o attenuare le situazioni di criticità aziendale di cui siano o debbano essere a conoscenza; sostanzialmente un divieto di rimanere inerti nelle situazioni che richiedono attivazione.

Dall’altro lato consiste nell’obbligo dell’amministratore – anche privo di deleghe – di informarsi affinché tanto la scelta di agire quanto quella di non agire risultino fondate sulla conoscenza della situazione aziendale che egli possa procurarsi esercitando tutti i poteri di iniziativa cognitoria connessi alla carica con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle sue specifiche competenze (art. 2392, comma 1, c.c.).

(Cass., 18 settembre 2020, n. 19556)

Fonte: ilsocietario.it

Impugnabilità della sentenza dichiarativa di fallimento da parte del socio illimitatamente responsabile della s.a.s. non dichiarato fallito

La sentenza dichiarativa di fallimento della società con soci illimitatamente responsabili va notificata dal
cancelliere alla società e ai soli soci dichiarati falliti secondo la decisione assunta nella pronuncia stessa,
non potendo la nozione di debitore, nella lettura corrente degli artt. 17 e 18 l. fall., includere altri soci
illimitatamente responsabili i quali, sebbene destinatari delle istanze di fallimento nel corso dello stesso
procedimento, non siano stati dichiarati falliti all’esito, per essi pertanto decorrendo il termine d’impugnazione
della sentenza, quali interessati, dalla iscrizione della stessa nel registro delle imprese.
(Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza n. 16777/21; depositata il 15 giugno)

Fonte: ilsocietario.it

La qualificazione in senso “unitario e globale” delle obbligazioni di controllo che gravano sui sindaci per l’intera durata del loro incarico

Il testo dell’art. 2402 c.c. risulta univoco nell’indicare che quella spettante ai sindaci è, propriamente, una “retribuzione annuale”, secondo quanto è coerente, del resto, con la durata che connota, come scansione dell’attività di impresa, l'”esercizio sociale”. Ne segue, allora, che è con questa unità di misura (della singola annualità) che l’inadempimento degli obblighi di controllo deve venire a confrontarsi in relazione al riconoscimento del diritto al compenso del sindaco. Secondo quanto correttamente ritenuto dall’impugnato decreto del Tribunale di Vicenza, il carattere sinallagmatico delle prestazioni dedotte in contratto si viene pertanto a puntualizzare sull’unità temporale della (medesima) annualità, corrispondente alla durata dell’esercizio sociale.

Cassazione Civile, Sez. VI-1, ord. n. 6027 del 4 marzo 2021.

Fonte: ilsocietario.it

Legittima la clausola con cui l’efficacia del trasferimento di partecipazioni viene subordinato alla preventiva adesione dell’acquirente ad un patto parasociale

La Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, con la massima n. 194, ha sancito la legittimità della clausola statutaria che subordina l’efficacia del trasferimento delle azioni di s.p.a. o delle quote di s.r.l. alla preventiva adesione da parte dell’acquirente ad un determinato patto parasociale.

Si tratta di una clausola statutaria limitativa della libera circolazione delle azioni ex art. 2355 bis c.c. o delle quote ex art. 2469 c.c., volta a creare un collegamento tra lo statuto sociale e un patto parasociale, quest’ultimo inteso quale accordo esterno all’atto costitutivo e allo statuto con cui i soci si obbligano a tenere un determinato comportamento nella società o verso la società stessa.

La clausola in oggetto è ritenuta compatibile con la disciplina del diritto societario anzitutto poiché il rinvio operato dallo statuto ad un accordo non soggetto ad alcuna forma di pubblicità legale (salvo quanto previsto dall’art. 122 TUF per i patti parasociali relativi a società quotate e dall’art. 2341 ter c.c. per quelli relativi a società con azionariato diffuso) non risulta in contrasto con le disposizioni concernenti la forma e la pubblicità dell’atto costitutivo e dello statuto, avendo esse un’operatività circoscritta alle regole organizzative della società ivi contenute.

È, infatti, possibile che lo statuto contempli rinvii ad atti o fatti esterni, quali presupposti per modifiche statutarie o per la determinazione della spettanza o della misura dei diritti sociali: nello stesso tempo, però, occorre rendere conoscibile ai potenziali acquirenti il contenuto del patto parasociale, alla cui adesione è subordinato il trasferimento delle partecipazioni, prevendendo un obbligo in capo agli amministratori di fornire loro ogni informazione in proposito necessaria.

La suddetta clausola non attribuisce una efficacia c.d. reale alle disposizioni del patto parasociale, le quali mantengono invece la loro caratteristica efficacia c.d. obbligatoria, rappresentando solo la fonte di diritti risarcitori in caso di violazione delle stesse.

L’opponibilità nei confronti dei terzi acquirenti, invero, riguarda esclusivamente la clausola limitativa del trasferimento delle partecipazioni contenuta nello statuto.

Infine, non si può ritenere che la clausola obblighi in via automatica il rispetto di un accordo esterno, in cui verrebbero inserite le regole organizzative che non potrebbero trovare legittimazione all’interno di uno statuto, poiché l’adesione al patto deve essere espressamente voluta e convenuta dall’acquirente ed esso rimane comunque soggetto ai limiti e alla disciplina che lo caratterizzano e che divergono dalle regole inderogabili proprie degli statuti delle s.r.l. e delle s.p.a.

Infine, nonostante il suddetto rinvio statutario, il patto parasociale conserva la sua natura e risulta soggetto ai limiti e alla disciplina propria dei patti parasociali, quali la durata quinquennale (in s.p.a.) e l’inopponibilità nei confronti dei terzi che non vi aderiscano espressamente.

Fonte: ilsocietario.it

Le incerte sorti dei crediti della società estinta

La remissione del debito, quale causa di estinzione delle obbligazioni, esige che la volontà abdicativa del creditore sia espressa in modo inequivoco; un comportamento tacito, pertanto, può ritenersi indice della volontà del creditore di rinunciare al proprio credito solo quando non possa avere alcuna altra giustificazione razionale, se non quella di rimettere al debitore la sua obbligazione. Ne consegue che i crediti di una società commerciale estinta non possono ritenersi rinunciati per il solo fatto che non siano stati evidenziati nel bilancio finale di liquidazione, a meno che tale omissione non sia accompagnata da ulteriori circostanze tali da non consentire dubbi sul fatto che l’omessa appostazione in bilancio altra causa non potesse avere, se non la volontà della società di rinunciare a quel credito.

Cass. Civ., Sez. III, ordinanza n. 1724 del 26 gennaio 2021.

Fonte: ilsocietario.it

La responsabilità del liquidatore di s.r.l. per mancato pagamento dei fideiussori che hanno agito in regresso contro la società

Massima

In caso di cancellazione di una società a responsabilità limitata dal registro delle imprese, per i debiti della società non soddisfatti risponde il liquidatore della società, il quale abbia sottratto attivo alla società e non abbia provveduto a recuperare i crediti vantati dalla società, sussistendo detta responsabilità anche nei confronti dei fideiussori della società che – avendo pagato dei debiti della società verso una banca – si trovino a essere creditori della medesima società in via di regresso.

Tribunale di Napoli – Sez. specializzata – 24 luglio 2020, n. 5317

Fonte: ilsocietario.it

L’accordo fiduciario avente per oggetto il trasferimento di quote di partecipazione in una società non richiede la forma scritta

Cass. Civ. – Sez. I – 19 maggio 2020, sent. n. 9139

Trasferimento della partecipazione in società di persone

In tema di trasferimento della partecipazione in società di persone, l’accordo fiduciario avente per oggetto il trasferimento di quote di partecipazione in una società, indipendentemente dall’eventuale esistenza di immobili nel patrimonio di questa, non richiede la forma scritta né ad substantiam né ad probationem.

Nel caso di specie due coniugi erano soci di una società semplice, proprietaria di un immobile; dopo la separazione dalla moglie, il marito aveva chiesto a quest’ultima di trasferirgli la quota che, in base all’accordo intercorso durante il matrimonio, le era stata intestata provvisoriamente, posto che il corrispettivo della cessione era stato pagato con denaro del marito, che aveva altresì assunto in via esclusiva i poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione.

Stante il rifiuto opposto dalla moglie al trasferimento della quota, il marito adiva il Tribunale di Torino, che respingeva la domanda.

All’esito del giudizio di gravame, la Corte di Appello di Torino riformava la sentenza di primo grado, accertando l’obbligo della moglie di trasferire al marito la quota di partecipazione detenuta nella società semplice.

La moglie quindi ricorreva in Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino.

Le contestazioni della moglie, risultata vittoriosa all’esito del primo grado di giudizio ma soccombente in quello di appello, riguardavano la forma dell’accordo: secondo la ricorrente, infatti, il pactum fiduciae avente per oggetto la cessione di quote societarie necessita dell’atto scritto, sicché quello concluso dai coniugi, non rivestendo tale forma, non poteva essere considerato valido ovvero opponibile.

A maggior ragione, secondo la ricorrente, l’onere formale doveva essere osservato in considerazione del fatto che la società delle cui quote si discuteva era proprietaria di un immobile, sicché – in realtà – le parti, con l’accordo fiduciario, avevano inteso pattuire il trasferimento di detto immobile dalla moglie al marito, onde fargliene acquistare, in questo modo, la proprietà.

La Corte di cassazione, tuttavia, ha respinto il ricorso, ritenendo infondati tutti i profili di censura sollevati dalla ricorrente.

La decisione della Corte di cassazione è pienamente condivisibile, vieppiù a seguito del consolidamento – in virtù del recentissimo arresto delle Sezioni Unite – dell’orientamento che vede nel pactum fiduciae non già un contratto preliminare, ma una fattispecie di mandato senza rappresentanza, che costituisce lo strumento tipico dell’agire per conto altrui e si pone come la figura negoziale più idonea per realizzare l’intento delle parti di fare acquistare a un soggetto un bene mediante la provvista di un altro, con l’impegno ad attenersi poi alle istruzioni da questo impartite ovvero a ritrasferire successivamente la proprietà del medesimo bene.

Al contrario del preliminare (in cui l’effetto obbligatorio è strumentale all’effetto reale e lo precede), nel contratto fiduciario l’effetto reale si produce immediatamente (con l’acquisto della proprietà da parte del fiduciario) e su di esso si innesta l’effetto obbligatorio (ossia il vincolo del fiduciario alle istruzioni del fiduciante e, in particolare, alla futura esecuzione di un atto traslativo che impedisca il consolidamento di una situazione patrimoniale vantaggiosa per il fiduciario a danno del fiduciante, posto che al pactum fiduciae deve reputarsi estraneo qualsiasi intento liberale del fiduciante e che la posizione di titolarità creata in capo al fiduciario si rivela soltanto provvisoria e strumentale al successivo ritrasferimento).

Per quanto, peraltro, l’accordo fiduciario non debba essere concluso per iscritto a pena di nullità, è evidente che la sua documentazione (al limite, anche per il tramite di dichiarazioni ricognitive unilaterali) risulta comunque consigliabile, onde evitare che, a fronte del rifiuto del fiduciario di ottemperare all’impegno assunto, il fiduciante si trovi nella pratica impossibilità di provarne l’esistenza e il contenuto.

Fonte: ilsocietario.it