Demansionamento del lavoratore: danno risarcibile o legittimo esercizio del potere direttivo

Il demansionamento è quel comportamento del datore di lavoro che:

  • assegna al dipendente mansioni corrispondenti ad una qualifica inferiore rispetto a quella per cui è stato assunto, oppure
  • priva il dipendente di alcune mansioni oggetto del contratto di assunzione, oppure
  • assegna al lavoratore mansioni che, seppure formalmente equivalenti a quelle svolte in precedenza e corrispondenti alla qualifica di appartenenza, abbiano oggettivamente un contenuto professionale inferiore.

Il demansionamento viene spesso associato al mobbing [1] poiché costituisce un comportamento lesivo nei confronti del lavoratore.

Una domanda che spesso viene posta è “quando il demansionamento genera un danno risarcibile e quando invece rappresenta il legittimo esercizio del potere direttivo del datore di lavoro?” La risposta deve sempre essere fondata su una concreta analisi del caso di specie.

Il datore di lavoro, generalmente, non assume il lavoratore per svolgere una attività lavorativa qualunque ma una particolare attività lavorativa, che corrisponde alla professionalità del prestatore ed è frutto delle sue specifiche competenze. Questa professionalità fa parte del bagaglio culturale del lavoratore e rappresenta anche una delle tante estrinsecazioni della personalità, come tali costituzionalmente tutelate (art. 4 Costituzione). Per tale motivo l’art. 2103 c.c. impone al datore di lavoro di adibire il prestatore a mansioni o equivalenti o superiori rispetto a quelle di assunzione, implicitamente vietando di assegnare al dipendente mansioni inferiori.

La recente modifica apportata all’art. 2103 c.c. dall’art. 3 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ha previsto la possibilità del datore di lavoro, nell’ambito del proprio potere direttivo, di adibire il lavoratore a mansioni inferiori in casi particolari e comunque consentiti in presenza di determinate condizioni [2]. In questi casi il demansionamento del lavoratore, naturalmente con il suo consenso, può avvenire anche di fatto, senza alcuna formale modifica di inquadramento né di retribuzione; il lavoratore demansionato, quindi, non subisce un diretto pregiudizio alla retribuzione e continua a percepire la retribuzione propria del livello di appartenenza.

L’accertamento della legittimità o meno di un demansionamento rappresenta un’operazione molto delicata, nell’ambito della quale deve essere esaminato ogni aspetto utile a comprenderne le ragioni.

Se viene accertato dal giudice un demansionamento illegittimo perché derivante da un comportamento contrario all’art. 2103 c.c. da parte del datore di lavoro, il datore può essere condannato al risarcimento del danno e all’adempimento in forma specifica, affidando al lavoratore l’incarico originario o altro incarico equivalente, a meno che egli provi l’impossibilità di ricollocare il lavoratore nelle mansioni precedentemente occupate, o in altre equivalenti, per inesistenza in azienda di tali ultime mansioni o di mansioni ad esse equivalenti (Cass. sez. lav., n. 16012/2014). In conseguenza dell’illegittimità del demansionamento il lavoratore, oltre al diritto ad ottenere le pregresse mansioni, avrà diritto anche al risarcimento del danno che può essere sia patrimoniale sia non patrimoniale, la cui valutazione spetterà al giudice in relazione agli effettivi pregiudizi subiti.

 

[1] Costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo (Cass. sez. lav., n. 18836/2013).

[2] L’art. 3 D.Lgs. 15 giugno 2015 “disciplina delle mansioni”, secondo comma, prevede che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.” Il quarto comma prevede eventuali “ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.”