diritto condominiale

Vendita di quota ideale del bene locato ad uso diverso: escluso il diritto di prelazione per il conduttore.

In tema di locazione di immobili urbani ad uso non abitativo, al conduttore non spettano il diritto di prelazione ed il conseguente diritto di riscatto dell’immobile, secondo la disciplina degli artt. 38 e 39 della l. 27 luglio 1978, n. 392, qualora il locatore intenda alienare ad un terzo la quota del bene oggetto del rapporto di locazione.

(Trib. Massa, sent. 12 novembre 2018)

Fonte: condominioelocazione.it

Il condomino obeso può installare l’ascensore senza l’autorizzazione dell’assemblea

Il condomino in condizione di disabilità può installare a proprie spese l’ascensore anche in mancanza di autorizzazione da parte dell’assemblea ove vi siano rischi per la sua salute derivanti dall’utilizzo delle scale.

Nel caso di specie un condomino obeso, proprietario dell’alloggio all’ultimo piano in un condominio di Roma, aveva grosse difficoltà a salire le scale per raggiungere la sua abitazione. I giudici di primo grado hanno assimilato la condizione di obesità ad una disabilità di movimento, sostenendo che non ci si può aspettare che il soggetto salga a piedi fino all’ultimo piano senza rischi per la salute.

Trib. Roma 16 novembre 2018, n. 22022

Infiltrazioni nel piano terraneo privato: il Condominio non risponde dei danni per omessa custodia ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Cass. civ., sez. VI-II, ordinanza 20 giugno 2019, n. 16625
Responsabilità per parti comuni in custodia

Una condomina richiedeva al condominio i danni derivati da infiltrazioni provenienti dal terrazzo di sua proprietà, la cui guaina di copertura si era deteriorata a causa dello scarico su di essa di una serie di tubature abusive provenienti da edifici confinanti. In primo grado, il Tribunale accoglieva la domanda di risarcimento. In secondo grado, la Corte territoriale, in accoglimento dell’impugnazione del Condominio, negava la proprietà condominiale del terrazzo in questione, in quanto sovrastante unicamente il piano terraneo di esclusiva proprietà della società attrice, costituendo di fatto un corpo di fabbrica adiacente a quello propriamente condominiale. Avverso tale pronuncia, la condomina ha proposto ricorso in cassazione lamentando la mancata responsabilità concorrente del Condominio ai sensi dell’art. 2051 c.c.

Infiltrazioni nel piano terraneo privato. Nel giudizio di legittimità, la S.C. conferma il ragionamento espresso nel provvedimento impugnato. Difatti, il terrazzo in questione non aveva alcuna funzione condominiale, essendo destinato a esclusiva copertura di una parte privata; sicché, non vi era alcuna responsabilità dei condomini riuniti in condominio per la sua custodia o dei danni che ne potevano derivare. Pertanto, il singolo condomino non può pretendere di affermare la responsabilità del condominio, a norma dell’art. 2051 c.c., per il risarcimento dei danni sofferti a causa del cattivo funzionamento di tubazioni di scarico delle acque destinate a servizio esclusivo di proprietà individuali, di cui alcune pure estranee al complesso condominiale, essendo il condominio stesso tenuto alla custodia ed alla manutenzione unicamente delle parti e degli impianti comuni dell’edificio. Per le suesposte ragioni, il ricorso della condomina è stato rigettato.
Fonte: condominioelocazione.it

Esclusione della personalità giuridica del condominio e relativo potere di agire anche in capo al singolo condomino

Il giudizio ha avuto origine nel 2004 dall’azione del condominio volta alla riduzione in pristino delle opere realizzate dalla condòmina Tizia in violazione del regolamento condominiale. In primo grado, il Tribunale accoglieva le difese del Condominio, condannando la condomina alla riduzione in pristino delle opere. In secondo grado, la Corte d’appello, accoglieva il ricorso sul punto della riduzione in pristino; tuttavia, in tale giudizio era stara riconosciuta una soccombenza reciproca: i Giudici, infatti, negavano anche la correttezza del distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato della condomina, ma accoglievano il suo appello quanto al difetto di prova di un aggravamento della servitù conseguente allo spostamento all’interno dell’appartamento della scala di accesso al quinto piano. Stante la parziale soccombenza, la condomina decideva di ricorrere in Cassazione al fine di ottenere la riforma della decisione d’appello. Avverso detta iniziativa processuale, resisteva il condominio che, pur contestando il contenuto del ricorso di Tizia, non aveva impugnato i capi della sentenza di appello ove era risultato soccombente. Proprio su tale ultimo aspetto, Caia, altra condomina, proponeva ricorso incidentale avverso i capi della sentenza di appello in cui il Condominio era risultato soccombente (ossia la compensazione delle spese di appello).

A causa della complessità della vicenda, con ordinanza interlocutoria n. 27101 del 2017, la questione è stata rimessa all’esame delle Sezioni Unite per un chiarimento concernente la legittimazione processuale del singolo condomino (non costituitosi autonomamente) ad impugnare la sentenza di primo o di secondo grado resa nei confronti del condominio, anche alla luce del principio sancito da SS.UU. n. 19663 del 2014, secondo cui il singolo condomino deve essere considerato parte solo se intervenga nel processo, e non, invece, già qualora sia rappresentato dall’amministratore.

Nel giudizio di legittimità, la S.C. a Sezioni Unite ha evidenziato che non può negarsi la legittimazione alternativa individuale al singolo condomino quando si sia in presenza di cause introdotte da un condominio o da un terzo che incidano sui diritti vantati dal singolo su di un bene comune. Per meglio dire, in relazione al peculiare atteggiarsi dei rapporti condominiali, che, essendo oggetto del ricorso incidentale un diritto afferente alla sfera di ogni singolo condòmino, ciascuno di essi può autonomamente far valere la situazione giuridica vantata. A tal fine può avvalersi personalmente dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio, inserendosi nel processo, delimitato quanto all’oggetto dall’evoluzione maturata, cioè nello stato in cui vi interviene, ma con intatta la facoltà di spiegare il mezzo di impugnazione. Al controricorso individuale può dunque accedere il ricorso incidentale che, nei limiti della materia del contendere incorniciata in fase di merito, risponda alla autonoma facoltà azionata, senza risentire dell’analoga difesa già svolta dal condominio e dunque dei limiti ventilati dall’ordinanza.

Cass. civ., sez. un., 18 aprile 2019, n. 10934

Fonte: condominioelocazione.it

Responsabile l’amministratore condominiale che non verifica l’idoneità professionale dell’impresa che ha effettuato lavori sulle parti comuni

È possibile configurare una corresponsabilità dell’amministratore di condominio con l’esecutore materiale di opere edili in condominio per i danni cagionati dalle stesse in caso di ascrivibilità dell’evento al committente stesso per la c.d. culpa in eligendo, ossia per avere affidato l’opera a un’impresa assolutamente inidonea e, in violazione del D.lgs. 81/2008, non abbia compiuto le opportune verifiche sui requisiti tecnico-professionali dell’esecutore dei lavori.

Nel caso in esame la Corte d’Appello di Torino aveva condannato l’amministratore di uno stabile e un artigiano in quanto, con condotte colpose, avevano cagionato un incendio in un condominio amministrato dal primo. In particolare l’incendio era stato cagionato dall’imperizia dell’artigiano, che aveva realizzato dei lavori di impermeabilizzazione sul tetto con cannello collegato alla bombola del gas e aveva cagionato l’incendio.

L’amministratore proponeva ricorso in Cassazione, che veniva rigettato. L’amministratore, si legge nelle motivazioni, “avrebbe dovuto (nella duplice veste di mandatario del condominio e committente dei lavori) verificare l’effettiva attitudine dell’artigiano alla realizzazione dei lavori” e quindi giudicava opportuna la decisione del giudice del riesame che aveva valutato correttamente nel condannare l’amministratore ai sensi dell’art. 449 c.p. per l’incendio colposo cagionato dall’artigiano anche per causa dell’imperizia dello stesso amministratore nei predetti controlli al momento dell’affidamento dei lavori.

La Corte sottolineava, inoltre, nella citata sentenza come, per giurisprudenza costante, «l’amministratore che stipuli un contratto di affidamento di appalto di lavori da eseguirsi nell’interesse del condominio è tenuto, quale committente, all’osservanza degli obblighi di verifica della idoneità tecnico professionale dell’impresa appaltatrice» (v. Cass. pen., sez. III, 18 settembre 2013, n. 42347), e ciò in ragione della posizione di garanzia che egli assume verso il condominio con l’acquisizione del mandato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1130 c.c.

Legittimo il ricorso per ingiunzione dei condomini se l’amministratore non consegna le pezze giustificative

Un amministratore di condominio è stato condannato a consegnare ai condomini la copia dei documenti giustificativi di spesa.

Lo strumento processuale dell’ingiunzione previsto dall’art.633 c.p.c., adottato dai condomini aventi causa, è legittimo non solo per il pagamento di somme bensì anche per la consegna di una cosa mobile determinata e nel caso di specie per la consegna di documenti.

In tema di condominio, quindi, costituisce comportamento illegittimo da parte dell’amministratore la mancata consegna della documentazione richiesta da alcuni condomini, perché viola la disposizione contenuta nell’art.1130-bis c.c., ove è contenuto l’obbligo di estrarre copia dei documenti giustificativi di spesa, ponendo a carico dei richiedente le spese. Il Tribunale di Catania aggiunge che l’amministratore non è tenuto a consegnare altra documentazione al di fuori dell’alveo tracciato dalla norma codicistica.

Tribunale Catania, Sentenza n.3125 del 30 giugno 2017

Invalida la delibera condominiale che approva un bilancio privo di nota esplicativa

Il Tribunale di Torino, Terza Sezione Civile, con sentenza 3528 del 4 luglio 2017, ha annullato, tra le altre, una delibera assembleare con la quale era stato approvato il rendiconto consuntivo relativo ad un determinato anno che non era conforme al disposto di cui all’art. 1130 bis c.c. in quanto privo delle “pezze giustificative” e della documentazione contabile a supporto della formazione del rendiconto.

 

 

Impianto centralizzato dell’acqua è parte comune se il regolamento condominiale non prevede diversamente

Nel silenzio del regolamento condominiale l’impianto centralizzato dell’acqua è parte comune

All’interno di un condominio, l’impianto centralizzato dell’acqua costituisce un accessorio di proprietà comune ed obbliga tutti i condomini al pagamento delle spese per la sua manutenzione, anche nel caso in cui ogni unità immobiliare abbia un contatore dell’acqua indipendente.

Così la Corte di Cassazione con ordinanza n. 28616/17, depositata il 29 novembre.

Il caso. La Corte d’Appello di Milano, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di primo grado, condannava un condominio al pagamento delle spese processuali in favore di una condomina, che aveva impugnato la delibera condominiale con la quale si richiedeva alla stessa condomina di installare un contatore dell’acqua privato, in quanto tutti gli altri condomini vi avevano già provveduto, prevedendo altresì che la manutenzione dell’impianto idrico condominiale fosse a suo carico, poiché risultava di fatto l’unica ad usufruirne in esclusiva.
La condomina, per converso, si lamentava dell’invalidità della delibera in considerazione dell’illecito cambiamento di destinazione dell’impianto idrico da proprietà comune a privata.

Avverso la sentenza della Corte d’Appello, il condominio proponeva ricorso per cassazione invocando la presenza di un sistema di tubazioni principali comuni; negando l’esistenza di un impianto idrico condominale, nonché di un interesse, per i restanti condomini, alla contribuzione per le spese dell’impianto idrico, essendo questo utilizzato solamente dalla condomina.

L’impianto centralizzato comune e l’interesse dei condomini. La Cassazione stabilisce che «l’impianto centralizzato (in questo caso, di distribuzione dell’acqua potabile) costituisce un “accessorio di proprietà comune”, circostanza che obbliga i condomini a pagare le spese di manutenzione e conservazione dell’impianto idrico condominiale, salvo che il contrario risulti dal regolamento condominiale, ipotesi quest’ultima che non ricorre nel caso in esame».
In aggiunta, il Supremo Collegio afferma che semmai «alla legittimità del distacco (dall’impianto) consegue al più il solo esonero dei condomini dal pagamento delle spese per il consumo ordinario, non certo i costi di manutenzione».
Infine, deve, diversamente da quanto affermato dal ricorrente, ritenersi sussistente l’interesse dei condomini a contribuire alla manutenzione dell’impianto idrico centralizzato, poiché non può escludersi la possibilità che in futuro questi possano tornare a farne uso.

Da evidenziare che questo orientamento viene ripreso nelle questioni relative al riscaldamento centralizzato, ove singoli condomini vogliano “staccarsi” dall’impianto comune; essi saranno comunque tenuti al pagamento delle spese di manutenzione e conservazione della centrale termica condominiale, fermo restando il loro diritto a staccarsi (a proprie spese) per rendere autonomo il riscaldamento della propria unità immobiliare.

Il condomino anticipa spese non urgenti per la manutenzione delle parti comuni senza autorizzazione dell’assemblea? Non ha diritto al rimborso.

Se un condomino anticipa spese non urgenti per la manutenzione delle parti comuni senza autorizzazione dell’assemblea non ha poi un diritto al rimborso da parte degli altri condomini, anche se le opere erano in ogni caso necessarie per la conservazione della proprietà comune.

Due recenti sentenze della Suprema Corte hanno ribadito il principio secondo cui in un condominio non si può decidere di eseguire in autonomia opere necessarie ma non urgenti, senza una preventiva autorizzazione da parte dell’assemblea.

La trascuratezza da parte degli altri condomini nella manutenzione dei beni comuni, infatti, non è sufficiente a giustificare una richiesta di rimborso se un condomino.

D: Che fare allora nei casi in cui, ad esempio, l’androne comune condominiale sarebbe da tinteggiare perché indecoroso e nessuno pare interessarsi?

R: l’unico modo è quello di sollecitare l’amministratore condominiale, chiedendogli a mezzo raccomandata di portare la questione alla prossima assemblea contestualmente a preventivi di ditte specializzate nella esecuzione dei necessari lavori di ripristino.

Nella materia condominiale occorre sempre ricordarsi che eventuali azioni sulle parti comuni poste in essere da un condomino senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea sono sempre rischiose perché potrebbero provocare anche una reazione da parte degli altri condomini, i quali sarebbero addirittura legittimati a chiedere un indennizzo per l’uso esclusivo delle parti comuni posto in essere dal condomino che ha operato in autonomia. Come a dire; oltre al danno, la beffa.

(Cassazione civile, sez. II, 5 ottobre 2017,  n. 23244;  Cassazione civile sez. II, 30 ottobre 2017 n. 25729)

Sì al prolungamento della corsa dell’ascensore a spese del singolo condòmino

Può un condòmino prolungare a proprie spese la corsa dell’ascensore di un piano? Secondo la Corte d’Appello di Milano la risposta è affermativa.

L’intervento di prolungamento della corsa dell’ascensore dal quarto al quinto piano dell’edificio, che un condomino voglia eseguire a proprie spese, non è innovazione ai sensi dell’art. 1120 c.c. bensì uso della cosa comune regolato dall’art. 1102 c.c.

Un condòmino, dopo aver acquistato un appartamento al quinto piano di un edificio di Milano con ascensore che arrivava solo fino al quarto piano, si è visto respingere dall’assemblea la propria richiesta di innalzamento dell’impianto di ascensore a proprie spese. Nella stessa assemblea peraltro era stata approvata l’eliminazione delle coperture in eternit presenti sul lastrico solare comune, con demolizione dei vani esistenti e installazione di panelli solari o fotovoltaici.

La Corte d’Appello rilevava la legittimità della domanda del condòmino di innalzamento dell’ascensore (e relativo prolungamento della scala) fino al quinto piano, in modo che ne traesse utilità la propria unità immobiliare. I giudici hanno evidenziato che i mutamenti nella composizione di un edificio, che nel caso di specie erano stati trasformati da solai in abitazioni, facevano sorgere esigenze di utilizzo diverso e più intenso delle parti comuni già esistenti quale – appunto – l’ascensore, posto originariamente non a servizio di tutti i piani. L’innalzamento di un piano dell’ascensore e della scala da parte di un condomino non è quindi in conflitto con l’art. 1102 c.c., poiché si tratta di una modifica che non altera la destinazione delle parti comuni, non impedisce l’altrui paritario uso e rientra nelle facoltà del condomino per una “migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa, facoltà che incontrano solo i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c.” (Cass. 4 settembre 2017, n. 20712).

La Corte di Milano ha quindi correttamente applicato l’art. 1102 c.c. dichiarando la nullità della delibera assembleare nella parte in cui aveva rigettato la richiesta del condomino di realizzare, a proprie spese, il prolungamento dell’ascensore e della scala dal quarto al quinto piano, mentre ha ribadito la validità del punto della delibera impugnata che aveva deciso l’installazione di pannelli solari o fotovoltaici sul lastrico solare comune, dovendosi nell’uso di questo bilanciare gli auspici del singolo condomino che voglia fare di tale bene un utilizzo diverso e più intenso con gli interessi collettivi degli altri partecipanti.

Corte d’Appello, Milano, sez. III, sentenza 18/05/2017 n°2145