diritto condominiale

Come ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo nei confronti dei condomini morosi

Negli ultimi anni la crisi che investe il nostro bel paese ha causato un aumento della morosità in particolare nei condomini, lasciando agli amministratori condominiali l’arduo compito di recuperare il dovuto, con tutte le difficoltà note agli operatori del settore.

Con la riforma del condominio attuata dalla Legge 11 dicembre 2012, n. 220, avente l’intento di tutelare maggiormente i condomini in regola con i pagamenti, sui quali gravano le spese derivanti dall’omesso versamento delle quote di competenza da parte dei condomini morosi, si è cercato di agevolare la disciplina del recupero coattivo dei crediti agendo sull’obbligo in capo all’amministratore di attivarsi tempestivamente. L’art. 1129 c.c. in particolare, al comma 9, ha sancito in capo all’amministratore il dovere di “agire per la riscossione forzosa delle somme dovute dagli obbligati entro sei mesi dalla chiusura dell’esercizio nel quale il credito esigibile è compreso”, elencando al comma 12, fra le possibili condotte integranti una irregolarità nell’esecuzione del mandato (che giustificherebbe la revoca da parte dell’assemblea dei condomini) proprio l’inottemperanza a detto dovere.

Il legislatore, allo scopo di garantire la tempestività dei pagamenti, ha introdotto una speciale disciplina del procedimento monitorio in materia condominiale con particolare riguardo alla immediata esecutività del decreto ingiuntivo.

In particolare l’art. 63 disp. att. c.c stabilisce che l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo, senza bisogno di autorizzazione da parte dell’assemblea, per la riscossione delle quote di competenza in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea. Si tratta di una procedura semplificata nella quale costituisce prova sufficiente, ai fini dell’accoglimento del ricorso e concessione della provvisoria esecuzione, il rendiconto preventivo o consuntivo unitamente al deposito del relativo piano di riparto che siano stati ritualmente approvati dall’assemblea.

Nonostante la chiarezza di questa norma, nella prassi, la clausola di provvisoria esecuzione viene spesso erroneamente concessa in presenza della sola delibera di approvazione del rendiconto e non anche dello stato di riparto, aprendo il fianco a pretestuose opposizioni da parte dei condomini morosi.

La Suprema Corte, con sentenza n. 24957 del 6.12.2016, ha infatti confermato che “la delibera di approvazione dello stato di ripartizione delle spese, sulla cui base l’amministratore può ottenere ingiunzione di pagamento immediatamente esecutiva, giusta l’art. 63 disp. att. c.c., deve necessariamente precedere la proposizione del ricorso ex art. 633 c.p.c.” (Cass.Civ, sez. II, sentenza n. 24957 del 6.12.2016).

Anche la giurisprudenza di merito è concorde nel ritenere che “in virtù dell’art. 63 disposizioni att. c.c. l’amministratore può ottenere un decreto ingiuntivo, provvisoriamente esecutivo, nei confronti del condomino moroso alla sola condizione che l’assemblea abbia approvato i bilanci e il relativo stato di ripartizione, ossia la distinzione delle spese in “capitoli” e la loro suddivisione fra i singoli condomini. Il verbale assembleare che approva lo stato di ripartizione dei contributi pur non avendo di per sé valore di titolo esecutivo ha una qualità probatoria privilegiata che vincola il giudice dell’ingiunzione alla concessione della clausola di immediata esecutività, se richiesta, benché la dichiarazione della provvisoria esecutività avvenga in base ad un titolo proveniente dal creditore”. (Trib. Monza, sez. II, n. 1716 del 9.06.2016).

Si noti che ai fini della concessione della clausola di provvisoria esecuzione non è sufficiente che la tabella di ripartizione delle spese di cui al bilancio preventivo o consuntivo sia meramente allegata all’avviso di convocazione dell’adunanza o comunque al verbale assembleare, nel qual caso sarebbe “inidonea a conferire alla tabella il rango di valido titolo di credito” (cfr. Trib. Aosta del 28.05.2014).

L’amministratore, quindi, per evitare opposizioni pretestuose a decreto ingiuntivo da parte dei condomini morosi, azionate con il mero intento di sfruttare la lentezza del processo giudiziario rallentando il recupero coattivo del credito (in barba ai condomini in regola con i pagamenti), al fine di ottenere un provvedimento immediato per il recupero del dovuto dovrà indicare, tra i punti all’ordine del giorno, quello relativo alla approvazione del piano di riparto, da tenere separato e autonomo rispetto a quello del rendiconto (preventivo o consuntivo) cui lo stesso si riferisce, depositando nel procedimento monitorio la tabella di ripartizione unitamente al relativo verbale assembleare di discussione e approvazione degli stessi.

L’amministratore condominiale non tiene correttamente la contabilità? Niente compenso.

Cassazione civile, 14 febbraio 2017, n.3892, sez. II

L’amministratore deve, anche nel suo stesso interesse, provvedere alla corretta tenuta della contabilità condominiale. La causa veniva promossa da un amministratore di condominio, il quale si vedeva respingere le proprie domande di pagamento avanzate verso lo stabile amministrato in precedenza, sia in primo grado che in appello. I giudici della Corte d’appello di Roma, in particolare, respingevano le richieste del professionista rilevando come “dalla espletata CTU era risultata la mancanza di un giornale di contabilità che avesse registrato cronologicamente le operazioni riguardanti il condominio, consentendo in modo puntuale la verifica dei documenti giustificativi, onde non era possibile ricostruire l’andamento delle uscite e dei pagamenti effettuati, per fatto imputabile all’amministratore, tra cui i doveri rientrava quello di corretta tenuta della contabilità”.

L’amministratore proponeva quindi ricorso in Cassazione sostenendo che, a fronte della prova da lui fornita del proprio credito, il condominio non aveva adempiuto all’onere di provare il fatto estintivo della pretesa creditoria.

La Cassazione, nel respingere ancora una volta le richieste del professionista, rilevava come fosse condivisibile – e comunque non sindacabile dal giudice della legittimità – la valutazione della Corte di appello relativa al mancato raggiungimento della piena prova del credito relativo al compenso reclamato dall’amministratore, il quale dal canto suo deve fornirla attraverso la corretta tenuta della contabilità condominiale.

In particolare gli Ermellini rilevavano come non fosse controversa nel caso di specie la mancanza di una contabilità regolare che registrasse cronologicamente le operazioni riguardanti la vita del condominio. In alcuno degli anni in contestazione non risultava infatti essere mai stata adottata  la delibera di approvazione del rendiconto dell’amministratore da parte dell’assemblea dei condomini ex art. 1130 c.c..

Per avvalorare la propria decisione, la Corte ricorda ancora come l’amministratore di condominio sia legato allo stabile da un mandato oneroso, che prevede appunto che il mandatario debba presentare necessariamente al mandante, per avere diritto al compenso ed al rimborso delle spese anticipate, il rendiconto del proprio operato che deve necessariamente comprendere la specificazione dei dati contabili delle entrate, delle uscite e del saldo finale.

I principi fissati dalla presente decisione della Cassazione sono pertanto chiarissimi: l’amministratore ha il preciso dovere di rendere, attraverso una puntuale tenuta della contabilità condominiale, intellegibili ai condòmini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione.

La tenuta della contabilità, osserva ancora la Suprema Corte, deve essere tra l’altro tale da permettere (ai condòmini anzitutto) “di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia uniformato a criteri di buona amministrazione”.

L’amministratore che non abbia eseguito correttamente tale adempimento relativo alla tenuta condominiale, pertanto, secondo la cassazione non sarà in grado di provare adeguatamente in giudizio l’entità del proprio compenso al quale pertanto dovrà necessariamente rinunciare.

La contabilità presentata dall’amministratore del condominio, sebbene non debba essere redatta con forme rigorose, deve – quantomeno – “essere idonea a rendere intellegibili ai condomini le voci di entrata e di uscita, con le relative quote di ripartizione, e cioè tale da fornire la prova, attraverso i corrispondenti documenti giustificativi dell’entità e causale degli esborsi fatti, e di tutti gli elementi di fatto che consentono di individuare e vagliare le modalità con cui l’incarico è stato eseguito, nonché di stabilire se l’operato di chi rende il conto sia uniformato a criteri di buona amministrazione”.

In assenza di un tale adempimento (tenuta puntuale della contabilità), quindi, “il credito dell’amministratore non può ritenersi provato”.

Avv. St. Marco Domenico Luongo