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Smart toys: il Garante spiega come far giocare i figli senza violare la privacy.

Gli “Smart toys” o “giocattoli intelligenti” non sono altro che robot, bambole ecc. capaci di  interagire con le persone e con l’ambiente circostante, filmare, registrare suoni, scattare foto e collegarsi ad Internet.

Questi giocattoli tecnologici, spiega il Garante,  possono raccogliere, elaborare e comunicare dati e informazioni di ogni tipo e presentano quindi possibili rischi per la privacy, soprattutto quella dei bambini. Per aiutare i genitori a far giocare i figli utilizzando gli Smart Toys senza violare la riservatezza, il Garante per la protezione dei dati personali ha pubblicato una informativa con semplici regole da seguire, ad esempio impostando password di accesso sicure per la connessione a Internet del giocattolo.

Link diretto al sito del Garante Privacy:  http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/7523979

Se manca l’attestazione di prestazione energetica (APE) il contratto di locazione è comunque valido.

Il Tribunale di Milano ha stabilito che la locazione è valida anche se il proprietario ha omesso di allegare al contratto l’attestazione di prestazione energetica (APE).

Per l’art. 15, comma 9, del D.lgs. n. 192/2005, il proprietario locatore che abbia omesso di dotare l’immobile dell’attestato di prestazione energetica in caso di nuovo contratto di locazione, come previsto dall’art. 6 comma 2 del suddetto decreto, è punito con una sanzione amministrativa non inferiore a 300 euro e non superiore a 1.800 euro.

In ogni caso anche se il proprietario locatore inadempiente viene multato il conduttore è comunque tenuto a corrispondere i canoni di locazione, pena lo sfratto per morosità.

Il caso

La ricorrente, locatrice di un immobile concesso il locazione ad uso abitativo con contratto regolarmente registrato, ha intimato sfratto per morosità al conduttore per mancato pagamento dei canoni di locazione scaduti. Il conduttore si è opposto alla convalida eccependo preliminarmente l’invalidità del contratto di locazione, per la mancata allegazione dell’APE (attestato di prestazione energetica) dello stabile, contestando nel merito l’entità della morosità oggetto della intimazione di sfratto.

Il giudice della Tredicesima Sezione Civile del Tribunale di Milano dott.ssa Spinnler ha accolto la domanda della proprietaria, dichiarando la risoluzione del contratto per inadempimento e condannando il conduttore a pagare i canoni scaduti ed a riconsegnare l’immobile alla locatrice.

Trib. Milano 11 /05/2017, Sentenza n. 5308/2017.

Pagamento stipendi: da luglio stop ai contanti, solo bonifico o altri mezzi tracciabili.

Le nuove regole sul pagamento degli stipendi.

(Commi 910, 911, 912, 913 e 914, art. 1, della Legge di Bilancio 2018.)

Legge 27 dicembre 2017, n. 205, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n.302 del 29-12-2017 – Suppl. Ordinario n. 62.

A far data dal 1° luglio 2018 i datori di lavoro o committenti corrispondono ai lavoratori la retribuzione, nonche’ ogni anticipo di essa, attraverso una banca o un ufficio postale con uno dei seguenti mezzi: a) bonifico sul conto identificato dal codice IBAN indicato dal lavoratore; b) strumenti di pagamento elettronico; c) pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento; d) emissione di un assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato. L’impedimento s’intende comprovato quando il delegato a ricevere il pagamento e’ il coniuge, il convivente o un familiare, in linea retta o collaterale, del lavoratore, purche’ di eta’ non inferiore a sedici anni. (comma 910)

I datori di lavoro o committenti non possono corrispondere la retribuzione per mezzo di denaro contante direttamente al lavoratore, qualunque sia la tipologia del rapporto di lavoro instaurato. (comma 911)

La firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione. (comma 912)

Esenzioni soltanto per il lavoro domestico: colf, badanti e baby sitter potranno continuare a ricevere pagamento in contanti dai datori di lavoro.  (comma 913)

Sanzioni: il datore di lavoro o committente che viola l’obbligo di cui al comma 910 si applica la sanzione amministrativa pecuniaria consistente nel pagamento di una somma da 1.000 euro a 5.000 euro. (comma 913)

Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge (1 gennaio 2018, relativamente ai commi sopracitati) il Governo stipulerà con le associazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative a livello nazionale, con l’Associazione bancaria italiana e con la societa’ Poste italiane Spa una convenzione con la quale sono individuati gli strumenti di comunicazione idonei a promuovere la conoscenza e la corretta attuazione delle disposizioni di cui ai commi 910, 911 e 912.

Gli obblighi di cui ai commi 910, 911 e 912 e le relative sanzioni si applicano a decorrere dal centottantesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge (ovvero dal 1° luglio 2018). (comma 914)

 

Smart working, il lavoro è agile.

Con la Legge n. 81 del 22 maggio 2017 il legislatore ha introdotto una nuova disciplina in materia di “smart working” o “lavoro agile”.

In inglese “smart” significa intelligente; l’uso intelligente degli strumenti offerti dalla tecnologia moderna è uno degli elementi chiave per comprendere la grande svolta di questa normativa che indubbiamente proietta il rapporto di lavoro verso il futuro.

L’art. 18 della Legge n. 81/2017 definisce il lavoro agile quale modalità di esecuzione  del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di  strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva.”

Il lavoro agile non è un nuovo tipo di contratto ma una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato che nasce da un accordo tra le parti. Questo aspetto è già rilevante perché il lavoratore agile, rispetto ai lavoratori “tradizionali” che si recano quotidianamente nei locali aziendali, avrà una modalità differente di rendere la sua prestazione lavorativa pur con i medesimi inquadramenti contrattuali, così come stabiliti dalla contrattazione collettiva. L’unico limite riguarda l’orario di lavoro giornaliero o settimanale, che non deve superare la durata massima prevista dalla legge o dalla contrattazione collettiva. Da ciò si desume che il lavoratore agile gode dei medesimi diritti e tutele spettanti ai lavoratori tradizionali che svolgono la prestazione interamente in sede.

La modalità agile sarà, quindi, frutto di uno specifico accordo tra datore di lavoro e lavoratore che terrà conto delle rispettive esigenze. Probabilmente questo è uno dei motivi per cui il legislatore ha scelto di scrivere “poco” relativamente all’accordo se non facendo un generale cenno a forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi; punti ad ampio spettro che vengono lasciati alla libera determinazione delle parti, le quali possono personalizzarli. Questa scarna previsione della norma offrirà sicuramente spunti per grandi e interessanti confronti pratici e ideologici in materia giuslavoristica.

Quello che indubbiamente appare innovativo è proprio la maggiore autonomia del lavoratore subordinato, il quale nella modalità agile è libero di lavorare dove e quando vuole. Una concezione quasi opposta a quella dell’applicazione delle tutele del lavoro subordinato “ai  rapporti  di  collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro” voluta dal legislatore nel Jobs Act (D.Lgs. 81/2015 art. 2, comma 1).

Anche se pare esserci ‘somiglianza’ con il Telelavoro [1], il lavoro agile è completamente diverso perché valorizza la flessibilità organizzativa favorendo l’uso delle nuove tecnologie. L’attività che andrà prestata anche attraverso l’utilizzo di strumenti tecnologici forniti dal datore di lavoro potrà quindi essere svolta potenzialmente ovunque. Col Telelavoro il lavoratore è invece tenuto a svolgere l’attività al di fuori dei locali dell’impresa in un luogo prestabilito dal datore di lavoro che non può essere variato se non per decisione di quest’ultimo.

Marco Domenico Luongo

 

[1] Il Telelavoro è stato regolamentato in via normativa solo per la pubblica amministrazione attraverso le previsioni dell’art. 4, l. 16 giugno 1998, n. 191 e del successivo regolamento di attuazione, D.P.R. 8 marzo 1999, n. 70. Nel settore privato è intervenuto l’accordo interconfederale 9 giugno 2004 di recepimento, firmato da CGIL, CISL, UIL e dalle organizzazioni datoriali. Nel settore pubblico, invece, esiste una regolamentazione contenuta nel D.P.R. n. 70/1999 che ha avuto scarsa applicazione.

 

 

Arrivano le multe via pec

Il decreto del Ministero dell’interno del 18 dicembre 2017, pubblicato in G.U. del 16 gennaio 2018, n. 12 ha stabilito che i verbali di multa per violazione al Codice della strada saranno notificati ai destinatari a mezzo posta elettronica certificata.

La notifica elettronica della violazione per tutti i soggetti obbligati per legge a dotarsi di una PEC e per i privati interessati a questa opportunità, incluso chi ha dichiarato al proprio Comune il domicilio digitale.

Il messaggio pec avrà come oggetto «atto amministrativo relativo ad una sanzione amministrativa prevista dal codice della strada», con allegati la relazione di notificazione su documento informatico separato, sottoscritto con firma digitale, in cui devono essere riportate la denominazione esatta e l’indirizzo dell’amministrazione e della sua articolazione periferica che ha provveduto alla spedizione dell’atto; l’indicazione del responsabile del procedimento di notificazione nonché, se diverso, di chi ha curato la redazione dell’atto notificato; l’indirizzo ed il telefono dell’ufficio presso il quale è possibile esercitare il diritto di accesso; l’indirizzo di posta elettronica certificata a cui gli atti o provvedimenti vengono notificati e l’indicazione dell’elenco da cui il predetto indirizzo è stato estratto ovvero le modalità con le quali è stato comunicato dal destinatario; nonché la copia per immagine (non un file di testo) su supporto informatico di documento analogico del verbale di contestazione, se l’originale è formato su supporto analogico, con attestazione di conformità all’originale, sottoscritta con firma digitale, o un duplicato o copia informatica di documento informatico del verbale di contestazione con attestazione di conformità all’originale, sottoscritta con firma digitale. Ci saranno anche eventuali altre comunicazioni o informazioni utili al destinatario per esercitare il proprio diritto alla difesa ovvero ogni altro diritto o interesse tutelato. Gli allegati o i documenti informatici che contengono degli allegati dovranno essere sottoscritti con firma digitale e trasmessi con formati aperti, standard e documentati.

Attenzione: la multa a mezzo pec si considera spedita nel momento in cui viene generata la ricevuta di accettazione e notificata al destinatario nel momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna completa del messaggio pec (la seconda e-mail che riceviamo quando spediamo la pec).

Se la notifica via pec del verbale stradale risulterà impossibile (per esempio la pec è scaduta o l’utente privato è sprovvisto di domicilio digitale e posta elettronica certificata) gli organi di polizia stradale procederanno alla notifica tradizionale della sanzione con addebito dei costi a carico del trasgressore.

Demansionamento del lavoratore: danno risarcibile o legittimo esercizio del potere direttivo

Il demansionamento è quel comportamento del datore di lavoro che:

  • assegna al dipendente mansioni corrispondenti ad una qualifica inferiore rispetto a quella per cui è stato assunto, oppure
  • priva il dipendente di alcune mansioni oggetto del contratto di assunzione, oppure
  • assegna al lavoratore mansioni che, seppure formalmente equivalenti a quelle svolte in precedenza e corrispondenti alla qualifica di appartenenza, abbiano oggettivamente un contenuto professionale inferiore.

Il demansionamento viene spesso associato al mobbing [1] poiché costituisce un comportamento lesivo nei confronti del lavoratore.

Una domanda che spesso viene posta è “quando il demansionamento genera un danno risarcibile e quando invece rappresenta il legittimo esercizio del potere direttivo del datore di lavoro?” La risposta deve sempre essere fondata su una concreta analisi del caso di specie.

Il datore di lavoro, generalmente, non assume il lavoratore per svolgere una attività lavorativa qualunque ma una particolare attività lavorativa, che corrisponde alla professionalità del prestatore ed è frutto delle sue specifiche competenze. Questa professionalità fa parte del bagaglio culturale del lavoratore e rappresenta anche una delle tante estrinsecazioni della personalità, come tali costituzionalmente tutelate (art. 4 Costituzione). Per tale motivo l’art. 2103 c.c. impone al datore di lavoro di adibire il prestatore a mansioni o equivalenti o superiori rispetto a quelle di assunzione, implicitamente vietando di assegnare al dipendente mansioni inferiori.

La recente modifica apportata all’art. 2103 c.c. dall’art. 3 del D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, ha previsto la possibilità del datore di lavoro, nell’ambito del proprio potere direttivo, di adibire il lavoratore a mansioni inferiori in casi particolari e comunque consentiti in presenza di determinate condizioni [2]. In questi casi il demansionamento del lavoratore, naturalmente con il suo consenso, può avvenire anche di fatto, senza alcuna formale modifica di inquadramento né di retribuzione; il lavoratore demansionato, quindi, non subisce un diretto pregiudizio alla retribuzione e continua a percepire la retribuzione propria del livello di appartenenza.

L’accertamento della legittimità o meno di un demansionamento rappresenta un’operazione molto delicata, nell’ambito della quale deve essere esaminato ogni aspetto utile a comprenderne le ragioni.

Se viene accertato dal giudice un demansionamento illegittimo perché derivante da un comportamento contrario all’art. 2103 c.c. da parte del datore di lavoro, il datore può essere condannato al risarcimento del danno e all’adempimento in forma specifica, affidando al lavoratore l’incarico originario o altro incarico equivalente, a meno che egli provi l’impossibilità di ricollocare il lavoratore nelle mansioni precedentemente occupate, o in altre equivalenti, per inesistenza in azienda di tali ultime mansioni o di mansioni ad esse equivalenti (Cass. sez. lav., n. 16012/2014). In conseguenza dell’illegittimità del demansionamento il lavoratore, oltre al diritto ad ottenere le pregresse mansioni, avrà diritto anche al risarcimento del danno che può essere sia patrimoniale sia non patrimoniale, la cui valutazione spetterà al giudice in relazione agli effettivi pregiudizi subiti.

 

[1] Costituisce mobbing la condotta del datore di lavoro, sistematica e protratta nel tempo, tenuta nei confronti del lavoratore nell’ambiente di lavoro, che si risolva, sul piano oggettivo, in sistematici e reiterati abusi, idonei a configurare il cosiddetto terrorismo psicologico, e si caratterizzi, sul piano soggettivo, con la coscienza ed intenzione del datore di lavoro di arrecare danni – di vario tipo ed entità – al dipendente medesimo (Cass. sez. lav., n. 18836/2013).

[2] L’art. 3 D.Lgs. 15 giugno 2015 “disciplina delle mansioni”, secondo comma, prevede che “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore purché rientranti nella medesima categoria legale.” Il quarto comma prevede eventuali “ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore, purché rientranti nella medesima categoria legale, possono essere previste dai contratti collettivi.”

Chiarimenti del Garante Privacy sul DPO (Data Protection Officer) in ambito pubblico

Il Garante Privacy ha pubblicato 7 nuove FAQ sul Responsabile della Protezione dei dati (RPD) in ambito pubblico, in aggiunta a quelle adottate dal Gruppo di lavoro Art. 29 (WP29).

Tra i chiarimenti anche quello relativo alle certificazioni DPO eventualmente rilasciate in Italia, che al momento non rappresentano garanzia di conformità ai sensi del Regolamento 2016/679. Ciò che conta è che venga nominato un funzionario di alta professionalità, che possa svolgere le proprie funzioni in autonomia e indipendenza, nonché in collaborazione diretta con il vertice dell’organizzazione.

Specifica inoltre il Garante che le certificazioni, «sebbene possano costituire una garanzia e atto di diligenza verso le parti interessate dell’adozione volontaria di un sistema di analisi e controllo dei principi e delle norme di riferimento, a legislazione vigente non possono definirsi “conformi agli artt. 42 e 43 del regolamento 2016/679″, poiché devono ancora essere determinati i “requisiti aggiuntivi” ai fini dell’accreditamento degli organismi di certificazione e i criteri specifici di certificazione».

Le Faq sono consultabili sul sito del Garante al seguente link

http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/7322110

 

Telemarketing aggressivo: disegno di legge sulle telefonate moleste sia ai numeri fissi che ai cellulari

Il Disegno di legge sul Registro delle Opposizioni n. 2603, approvato oggi in Senato, introduce un prefisso per le chiamate commerciali e prevede la possibilità di iscrivere al Registro anche i numeri di telefonia mobile. Prima solo i fissi potevano esserne iscritti evitando così le chiamate commerciali.

La commissione ha dedicato questa riforma ad Altero Matteoli, l’ex ministro deceduto pochi giorni fa a seguito di un incidente stradale e che si era interessato alla questione.

Tutti gli abbonati, quindi, avranno il diritto di difendersi dalle chiamate commerciali indesiderate. Divieto di utilizzo dei consensi rilasciati in passato per usare i numeri di telefono a scopi commerciali. Responsabilità condivisa tra call center e società che promuove la vendita di prodotti o contratti in caso di telemarketing aggressivo e chiamate commerciali ad abbonati che non le vogliano ricevere.

Cosa prevede il Disegno di legge 2603 (Modifiche alle modalità di iscrizione e funzionamento del registro delle opposizioni di cui al comma 1 dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 7 settembre 2010, n. 178):

1. possibilità per tutti di iscriversi al Registro delle opposizioni, anche con numeri cellulari e anche in caso di telefoni fissi non iscritti negli elenchi telefonici ;

2. si intendono revocati, con l’iscrizione al registro, tutti i consensi al trattamento dei dati personali espressi in precedenza;

3. viene esplicitamente vietata la cessione di elenchi telefonici a terzi;

4. viene vietato il ricorso ai compositori automatici per la ricerca dei numeri;

5. la violazione dei divieti introdotti prevede sanzioni, fino alla sospensione e alla revoca della licenza per gli operatori;

6. Viene introdotto l’obbligo del numero identificabile e richiamabile in modo che, anche se si è deciso di non iscriversi al registro delle opposizioni, chi riceve la chiamata può sempre cambiare idea e utilizzare il diritto di recesso ricontattando il numero che ha chiamato;

7. Viene introdotto, in alternativa, l’obbligo al ricorso di un prefisso specifico, in modo che, anche se si è deciso di non iscriversi al registro delle opposizioni, chi riceve la chiamata può riconoscere che si tratta di una telefonata commerciale.

Di seguito il link al commento del Garante Privacy Antonello Soro:

http://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/7368477

Come difendersi dai ransomware secondo il Garante Privacy

Cos’è il “Ransomware”? E’ un programma informatico dannoso che viene diffuso con lo scopo di infettare un dispositivo elettronico, che sia un pc, un tablet, o uno smartphone, bloccandolo oppure criptandone i contenuti (file, foto, video ecc.) per poi chiedere un riscatto (che in inglese si dice appunto “ransom”) per ripristinarlo.

Sul sito del Garante Privacy italiano è stato pubblicato un interessante vademecum su cosa fare in caso i propri dispositivi vengano infettati.

di seguito il Link:

http://garanteprivacy.it/ransomware

 

Si all’assegno divorzile per la ex moglie che prende 400 euro di pensione

Riconosciuto l’assegno divorzile alla ex moglie titolare di una pensione di 400 euro mensili.

L’ex marito presentava ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Milano aveva rigettato la sua richiesta di dichiarare l’inesistenza del diritto dell’ex moglie a percepire l’assegno divorzile, motivando la richiesta con varie argomentazioni, tra cui il fatto che la signora percepisse una pensione.

La Suprema Corte ha riconosciuto il diritto dell’ex moglie a percepire l’assegno divorzile nonostante la modesta pensione di euro 400,00 mensili e nonostante fosse anche proprietaria della casa di abitazione oltre che di terreni all’estero, sempre di modesto valore.

I giudici, dopo aver verificato che i mezzi della ex moglie fossero inadeguati, hanno stabilito che la signora, vista l’età non proprio giovane di 65 anni, non avesse una oggettiva possibilità di procurarsi redditi propri dal punto di vista lavorativo. Hanno inoltre rilevato che il marito, economicamente benestante, non avrebbe avuto alcun problema a far fronte all’importo dell’assegno divorzile liquidato in Euro 600,00 mensili.

Cass. civ., sez. VI-1, 5 dicembre 2017, n. 28994